Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Attentato alla Federico II, interrogate trenta persone
Chi ha colpito il «Coinor» lo ha fatto con la consapevolezza di creare danni e con la certezza che il messaggio potesse arrivare chiaro e forte. Le forze dell’ordine battono solo ed esclusivamente la pista interna per cercare di arrivare ad individuare il responsabile o i responsabili dell’atto intimidatorio di mercoledì scorso all’università Federico II, quando qualcuno ha portato una molotov e le ha dato fuoco. Solo per il provvidenziale intervento di un dipendente si è evitato il peggio. La Digos di Napoli che conduce le indagini dirette dal pool «Antiterrorismo» della Procura partenopea, ha ascoltato oltre 30 persone «informate sui fatti» per cercare di ricostruire il puzzle dell’indagine. Qualcuno è salito al secondo piano della sede centrale di corso Umberto, ha posizionato a terra una tanica di plastica di cinque litri di benzina e ha dato fuoco ad uno stoppino che era però troppo imbevuto di liquido e quindi non ha preso fuoco come avrebbe dovuto. Una fiammata ha bruciato una parete e parte della scrivania, ma l’obiettivo era quello di distruggere e di arrivare direttamente alla «mente» dell’Università. Si segue la pista interna perché chi ha agito sapeva perfettamente dove colpire per fare del male. Due i moventi: il primo porta direttamente al ruolo svolto dal «Coinor», che è quello di indirizzo, per così dire, politico delle scelte dell’università. Chi ha portato quella bomba artigianale voleva creare danni, distruggere atti e documenti che erano lì conservati ma non è arrivato dove avrebbe voluto. Il secondo movente potrebbe essere quello anarchico a causa dei tumulti generati negli ultimi tempi dall’aumento esponenziale delle tasse universitarie per accedere alle facoltà più prestigiose. Ma ci sono due aspetti che non convincono del tutto gli investigatori. Il primo è che manca qualsivoglia tipo di rivendicazione, il secondo è che non è il «Coinor» a stabilire quanto debbano pagare gli studenti.