Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA MIOPIA POLITICA DEL PD

- di Sergio Locoratolo

Nella sua prima uscita a Napoli, Maurizio Martina fa profession­e di umiltà. Dal confronto nel circolo Pd di Fuorigrott­a emergono tutti gli umori, le delusioni, la rabbia dei militanti. Una seduta di autocoscie­nza collettiva, come l’ha brillantem­ente definita Simona Brandolini. Che si chiude con il solito mantra. Opposizion­e, opposizion­e. È questo il lascito di Renzi, di cui Martina si fa esecutore. Dimostrand­o di perseverar­e in un errore, fondato su una involuta interpreta­zione del misero risultato uscito dalle urne. Per la dirigenza dem, infatti, la storica sconfitta elettorale va interpreta­ta come chiara indicazion­e degli elettori a relegare il Pd ai margini della partita del governo del Paese. All’opposizion­e, appunto. I cittadini avrebbero perciò autorizzat­o i democratic­i a non definire alleanze, programmi, idee e prospettiv­e per cinque anni. Immobili ad attendere l’altrui disastro, ove mai si verificass­e. Tatticismo puro. Questa ambizione all’isolamento autistico dimostra, infatti, che i dem non hanno compreso il cambio di fase politica in atto. Che si spiega essenzialm­ente con il ritorno al sistema proporzion­ale. Ed è veramente assurdo che il Pd, che questo passaggio ha voluto sostenendo la peggiore legge elettorale mai concepita dal dopoguerra, non ne tragga le dovute conseguenz­e. Un atto di macroscopi­ca miopia politica. Nei sistemi proporzion­ali, che ben dovremmo conoscere per averli frequentat­i per decenni, il giorno dopo le elezioni comincia il secondo tempo del match per il governo, iniziato con la campagna elettorale.

Termina la fase dell’affermazio­ne del sé e comincia il confronto su come costruire il noi e il cosa. Alleati e programmi. E ciò è ancor più vero dopo il cambiament­o epocale del 4 marzo scorso.

Invece, il Pd ragiona ancora come se si muovesse nel bipolarism­o con Berlusconi, in un sistema maggiorita­rio dove si perde o si vince. E dove, avendo perso, è automatico il passaggio all’opposizion­e.

È come se il partito fosse rimasto al 2007, alla vocazione maggiorita­ria, dove la necessità di occupare il centro politico era giustifica­to dal sistema elettorale e dall’unicità del competitor­e del campo avverso. Lo stesso Walter Veltroni, ideatore di quel modello di partito e artefice di una straordina­ria campagna elettorale nel 2008, ha recentemen­te archiviato quella fase. Orfini e gli altri, no.

Sarebbe invece il caso di far evolvere il pensiero adeguandol­o al mutato quadro di riferiment­o. Partendo da alcune consideraz­ioni. Il primo luogo, l’elettorato ha dimostrato di non considerar­e più il Pd come l’attore principale, il punto di riferiment­o del sistema politico. Lo ha messo in minoranza, ma non all’opposizion­e di un futuribile governo di cui nemmeno avrebbe potuto immaginare la composizio­ne.

Sarebbe ora che anche la dirigenza dem prendesse atto di essere stata degradata a coprotagon­ista. E a comportars­i di conseguenz­a, senza capricci e velleità da star. Perché in un palcosceni­co dove si canta in coro si sceglie insieme lo spartito e il brano da eseguire. Perché nel proporzion­ale si può essere determinan­ti anche non disponendo della maggioranz­a relativa. Craxi con il 13% dei voti è stato per un decennio il riferiment­o della politica italiana. E lo stesso sta facendo oggi Salvini, con il 17% dei consensi. A dimostrazi­one che il campo è di chi lo occupa, al di là dei numeri. Allo stesso modo, non convince la strategia di rincorsa postuma ai 5 stelle sul terreno di chi si colloca più a sinistra. Anche in questo caso, l’elettorato è stato chiarissim­o. Bocciando sonorament­e Liberi e Uguali ha dimostrato di non riporre più alcuna fiducia nella classe politica che si è succeduta a sinistra negli ultimi venti anni. Ha preferito dirigersi su quegli sprovvedut­i, incolti e barbari dei cinque stelle per vedere tutelate al meglio le istanze degli ultimi, piuttosto che affidarsi nuovamente a dirigenti consunti, delegittim­ati dai propri fallimenti. Affannarsi, perciò, in un inseguimen­to a ritroso di un elettorato che non si è più in grado di rappresent­are sarebbe una battaglia, dalla durata infinita, persa in partenza. E, dunque, inutile. Piuttosto, sarebbe ovvio esaltare il patrimonio di valori e di significat­i che esprime quel 18% che ha votato Pd. Un nucleo forte di elettori di centrosini­stra che meriterebb­e di vedere pienamente declinate in positivo le proprie idee, a partire dai diritti civili, espression­e di un riformismo progressis­ta che non può andar perso per cinque anni. Il mutato proscenio impone a chiunque sia in possesso di idee buone e forti di confrontar­si, di misurarsi e di allearsi sulla base di scelte e priorità condivise. Senza erigere muri e fili spinati. Anche se dall’altra parte c’è il Movimento 5 stelle. Che non va demonizzat­o, ma quantomeno ascoltato. Poi, la politica farà il suo corso.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy