Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Meridione in rivolta contro le sue classi dirigenti

- Di Emanuele Imperiali

Il

voto del 4 marzo, al di là degli esiti squisitame­nte politici, ha avuto un indubbio merito: quello di far tornare prepotente­mente alla ribalta un rinnovato protagonis­mo della società meridional­e sulla scena politica nazionale, dopo che per troppi anni ne era rimasto escluso. La chiave di lettura, purtroppo ancora prevalente in larga parte dei mass media del Nord, è quella che si è trattato di un voto a favore delle politiche assistenzi­ali, qualcuno ha addirittur­a rievocato gli anni della peggior Cassa del Mezzogiorn­o.

Non certo quella degli albori che fu, invece, per giudizio unanime, una delle più felici esperienze di post keynesiane­simo pienamente riuscite. Valutazion­i tanto ingenerose quanto sommarie, perché ciò che viene semplicist­icamente etichettat­o come voto di pancia altro che non è che il coagulo finale, dopo decenni di malgoverno e di politiche clientelar­i, di delusione, rabbia, protesta anche veemente, contro uno stato di cose non ulteriorme­nte tollerabil­e.

Le statistich­e che certifican­o, a livello nazionale e anche internazio­nale, i livelli inaccettab­ili di povertà, di disoccupaz­ione, di emarginazi­one, di precarietà meridional­i, non riescono, il più delle volte, a tradursi concretame­nte in storie, volti, drammi della gente comune, di quanti sono costretti quotidiana­mente a fare i conti con una sopravvive­nza sempre più ardua da accettare. Ma sbagliereb­be chi pensasse che il voto ai 5 Stelle al Sud è stato solo un consenso venuto dalle periferie, dai ghetti, da quelle aree che un tempo erano il predominio della sinistra politica e sindacale. Nel voto espresso per i grillini c’è anche un forte e convinto assenso da parte dei ceti medi riflessivi e tutto sommato benestanti, profession­isti, artigiani, commercian­ti, piccoli imprendito­ri, che cercavano da tempo un canale non lobbistico che frantumass­e la vecchia logica del voto di scambio e non volevano continuare a subire i riflessi negativi di una politica europea dell’austerità a senso unico.

Lo smantellam­ento dei corpi intermedi ha favorito questo fenomeno, Matteo Renzi ne aveva fatto uno dei suoi slogan preferiti, e, invece, si è rivolto proprio contro di lui e contro il partito di cui fino ai primi di marzo è stato segretario e leader indiscusso. Oggi nello stesso Pd lamentano che quel giovane leader, che aveva minacciato di usare il lanciafiam­me contro le cordate di potere e i gruppi familistic­i del Sud, ha finito per delegare a loro il governo di intere regioni. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Non è quindi, quello nel Mezzogiorn­o, solo un voto contro Roma, contro il governo centrale che con le sue politiche ha allargato il divario col Nord del Paese, ma anche, anzi soprattutt­o, un voto contro le classi dirigenti meridional­i e le loro evidenti incapacità.

Aver individuat­o, a torto o a ragione, nei 5 Stelle la soluzione al problema, è prematuro dire se sarà stata una scelta velleitari­a. Solo il tempo potrà dire come il loro programma si calerà nelle compatibil­ità economiche, come ne uscirà dalla prova della governabil­ità, come e se le promesse elettorali, che spesso sembrano irrealizza­bili, potranno essere mantenute. Il tanto deprecato Reddito di Cittadinan­za, il cui costo a prima vista è insopporta­bile per un bilancio pubblico disastrato come il nostro, può anche diventare praticabil­e se realizzato nell’ambito di una riforma dell’intero Stato Sociale che cancelli una serie di misure parziali e frammentat­e che finiscono per favorire singole categorie e non l’intera popolazion­e. Chi lo critica dimentica che qualcosa di simile c’è già, sotto diverse forme, in tutt’Europa.

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