Corriere del Mezzogiorno (Campania)
VELLEITÀ E MACRO REGIONI
L’idea di una macro regione del Sud, lanciata a Napoli da esponenti politici, professionali, del mondo del giornalismo e dell’impresa, pubblicata dal Corriere del Sera, rischia di essere tanto velleitaria quanto pericolosa. Ma merita comunque un serio approfondimento attraverso un dibattito aperto alle migliori energie intellettuali, non solo meridionali. Velleitaria perché postula una sorta di splendido isolamento della macro regione Mezzogiorno che si presenta, quasi fosse un soggetto costituzionalmente autonomo, al tavolo di Bruxelles per pretendere una rinegoziazione complessiva delle risorse dei fondi europei e lo status di intera area fiscalmente vantaggiosa, una specie di Zona economica speciale unificante per l’intero territorio a sud del Garigliano. Ipotesi affascinante sulla carta se non fosse che, con le attuali regole comunitarie, non è possibile considerare l’intero meridione un unicum indivisibile da agevolare. Perché un minuto dopo lo rivendicherebbero tutte le zone in via di sviluppo dell’intera Europa dell’Ovest e dell’Est, del Nord e del Sud, all’interno dei diversi Stati nazionali. Già in passato si sono fatti, ma sono risultati sempre vani, i tentativi di creare un Comitato Mezzogiorno all’interno della Conferenza delle Regioni che desse compattezza alle rappresentanze istituzionali di quest’area, la quale, purtroppo, piuttosto che granitica, è spaccata.
Oggi questo tentativo dovrebbe riuscire in quanto la rappresentanza politica del Sud dopo il 4 marzo è monoliticamente dei 5 Stelle? Prima del voto, e ancora adesso a livello di giunte regionali, è del Pd e non si è mai riusciti a mettere d’accordo neppure due governatori, Campania e Puglia tanto per fare un esempio.
La proposta di un’Agenzia per gli investimenti al Sud non è nuova, anche in questo caso si tratta di una strada percorsa ma che non ha avuto mai seguito. Certo i promotori non pensano all’attuale Agenzia per la Coesione ma a una sorta di Tennessee Valley Authority, sulla falsariga americana, un’autorità pubblica non federale posta al di sopra dei singoli Stati. L’interrogativo centrale è un altro: tutta l’idea ruota attorno a strumenti speciali, a fondi straordinari, quali sono quelli europei, ma mette la sordina all’utilizzo delle risorse ordinarie, che è il vero buco nero della politica meridionalistica. Carenza ammessa dal governo Gentiloni che ha approvato il decreto per introdurre il limite del 34% come plafond minimo di spesa pubblica al Sud, finora, però, rimasto inattuato.
C’è un pericolo sotteso a quest’idea, che postula non un federalismo rafforzato ma l’ipotesi di dar vita a una confederazione italiana, strada
scelta, ma per un contesto socio-politico diversissimo, dagli Stati Uniti. Il rischio è che le Regioni del Nord, come Lombardia e Veneto che hanno già tenuto un referendum nell’autunno scorso, la colgano al volo per ribadire che la stragrande maggioranza delle risorse prodotte nel proprio territorio deve restare lì e non essere distribuite secondo giusti e solidali criteri di riequilibrio che tengano conto delle esigenze delle popolazioni meno abbienti. A quel punto il Sud resterebbe chissà per quanto tempo a leccarsi le proprie ferite.