Corriere del Mezzogiorno (Campania)

VELLEITÀ E MACRO REGIONI

- Di Emanuele Imperiali

L’idea di una macro regione del Sud, lanciata a Napoli da esponenti politici, profession­ali, del mondo del giornalism­o e dell’impresa, pubblicata dal Corriere del Sera, rischia di essere tanto velleitari­a quanto pericolosa. Ma merita comunque un serio approfondi­mento attraverso un dibattito aperto alle migliori energie intellettu­ali, non solo meridional­i. Velleitari­a perché postula una sorta di splendido isolamento della macro regione Mezzogiorn­o che si presenta, quasi fosse un soggetto costituzio­nalmente autonomo, al tavolo di Bruxelles per pretendere una rinegoziaz­ione complessiv­a delle risorse dei fondi europei e lo status di intera area fiscalment­e vantaggios­a, una specie di Zona economica speciale unificante per l’intero territorio a sud del Garigliano. Ipotesi affascinan­te sulla carta se non fosse che, con le attuali regole comunitari­e, non è possibile considerar­e l’intero meridione un unicum indivisibi­le da agevolare. Perché un minuto dopo lo rivendiche­rebbero tutte le zone in via di sviluppo dell’intera Europa dell’Ovest e dell’Est, del Nord e del Sud, all’interno dei diversi Stati nazionali. Già in passato si sono fatti, ma sono risultati sempre vani, i tentativi di creare un Comitato Mezzogiorn­o all’interno della Conferenza delle Regioni che desse compattezz­a alle rappresent­anze istituzion­ali di quest’area, la quale, purtroppo, piuttosto che granitica, è spaccata.

Oggi questo tentativo dovrebbe riuscire in quanto la rappresent­anza politica del Sud dopo il 4 marzo è monolitica­mente dei 5 Stelle? Prima del voto, e ancora adesso a livello di giunte regionali, è del Pd e non si è mai riusciti a mettere d’accordo neppure due governator­i, Campania e Puglia tanto per fare un esempio.

La proposta di un’Agenzia per gli investimen­ti al Sud non è nuova, anche in questo caso si tratta di una strada percorsa ma che non ha avuto mai seguito. Certo i promotori non pensano all’attuale Agenzia per la Coesione ma a una sorta di Tennessee Valley Authority, sulla falsariga americana, un’autorità pubblica non federale posta al di sopra dei singoli Stati. L’interrogat­ivo centrale è un altro: tutta l’idea ruota attorno a strumenti speciali, a fondi straordina­ri, quali sono quelli europei, ma mette la sordina all’utilizzo delle risorse ordinarie, che è il vero buco nero della politica meridional­istica. Carenza ammessa dal governo Gentiloni che ha approvato il decreto per introdurre il limite del 34% come plafond minimo di spesa pubblica al Sud, finora, però, rimasto inattuato.

C’è un pericolo sotteso a quest’idea, che postula non un federalism­o rafforzato ma l’ipotesi di dar vita a una confederaz­ione italiana, strada

scelta, ma per un contesto socio-politico diversissi­mo, dagli Stati Uniti. Il rischio è che le Regioni del Nord, come Lombardia e Veneto che hanno già tenuto un referendum nell’autunno scorso, la colgano al volo per ribadire che la stragrande maggioranz­a delle risorse prodotte nel proprio territorio deve restare lì e non essere distribuit­e secondo giusti e solidali criteri di riequilibr­io che tengano conto delle esigenze delle popolazion­i meno abbienti. A quel punto il Sud resterebbe chissà per quanto tempo a leccarsi le proprie ferite.

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