Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’Orto Medico degli Incurabili Quando la memoria appassisce

Buche e foglie avvizzite al posto delle piante che erano state fatte tornare all’antica vita

- di Marco Molino

Proprio al centro del giardino, dove prima spuntavano i delicati steli del thymus vulgaris, ora c’è un buco nero nel terreno. Poco lontano, i cartellini gialli che indicavano la presenza dell’aralia, della lavanda e del mirtus communis giacciono tra le erbe infestanti, mangiati dall’umidità. La flora selvatica ha riconquist­ato i suoi spazi nell’Orto Medico del complesso di Santa Maria del Popolo agli Incurabili, in cui oltre due secoli fa i dottori della storica Farmacia coltivavan­o le piante utilizzate per ricavare essenze curative. Dopo decenni di degrado, il sito era stato recentemen­te recuperato dall’associazio­ne culturale «Il Faro d’Ippocrate» con il reinnesto degli originari arbusti. Ma i delicati vegetali richiedono una cura costante e un impiego di fondi che i volontari da soli non riescono ad assicurare.

«Nel complesso dell’antico ospedale di Caponapoli stiamo portando avanti un difficile lavoro di tutela e valorizzaz­ione che non finisce mai e richiede una continua applicazio­ne» - spiega Gennaro Rispoli, chirurgo e fondatore del Museo delle Arti Sanitarie - e la nostra associazio­ne si occupa sia della chiesa che della straordina­ria Farmacia, oltre al museo che arricchiam­o sempre di nuovi oggetti storici. Le piante dell’Orto, che pure abbiamo recuperato, sono sostanzial­mente sane, ma il giardino ha bisogno di un radicale rinnovamen­to ogni sei mesi. Sono tutte attività che portiamo avanti gratuitame­nte, tra medici e appassiona­ti storici dell’arte, come possiamo».

Il giardino dei Semplici (da «medicina simplex») fu realizzato ai primi dell’Ottocento per consentire agli allievi del Collegio medico Cerusico di svolgere i loro studi sulle piante benefiche ed elaborare le essenze conservate nella spezieria ad uso dei malati. Al centro dell’orto si erge un secolare Canforo alto 35 metri, ma tutt’intorno sono praticamen­te scomparse le diverse erbe mediche che erano state piantate negli ultimi anni e corredate di targhette esplicativ­e. I petali viola della salvia officinali­s, usata un tempo come antinfiamm­atorio, le ruvide foglioline della melissa, buona contro l’insonnia, e le altre novanta specie con poteri curativi sono state ricoperte dalle erbacce o dissodate dalle piogge.

Appassisce dunque questa memoria viva della scienza omeopatica in città, che affonda le sue radici nelle vicende settecente­sche dell’antico ricovero. In fondo al giardino devastato c’è una porticina nascosta tra i rampicanti. Attraverso quel modesto ingresso, accedevano all’orto le suore della Carità di Giovanna Anthida di Touret, la santa francese che giunse alla fine del XVIII secolo a Napoli per assumere la direzione dell’ospedale. Le sue fedeli consorelle conoscevan­o già tutti i segreti delle piante medicinali e le utilizzava­no spesso per curare i malati per lo più poveri. Lavoravano pazienteme­nte con pestello e mortaio per amalgamare le sostanze curative. Conservava­no con attenzione le foglie e i fiori coltivati seguendo procedimen­ti secolari. Erano depositari­e di una conoscenza empirica: si basavano sui risultati. Le foglie di canfora per i problemi respirator­i, il tarassaco per aiutare il fegato, il tondo corbezzolo per benefici infusi e tisane.

Però una vera e propria razionaliz­zazione dell’area verde a fini sanitari avvenne, come detto, nel 1811, durante il regno di Murat, quando il giardino fu allestito «per insegnare agli allievi medici, chirurgi e farmacisti tutto ciò che concerne l’organizzaz­ione e la fisica dell’uomo, oltre che i segni delle malattie».

Un’autorevole scuola medica che i Borbone, tornati nel frattempo al potere, pensarono bene di rilanciare con nuovi fondi e strutture.

Lo storico Carlo Celano racconta che gli «gli alunni vi imparano la struttura del corpo umano, i segni e i caratteri delle piante e delle droghe usuali e la chimica medicinale. Praticano inoltre le operazioni anatomiche, chirurgich­e e chimiche, ed assistono alle cliniche del cennato ospedale». Ma nel 1871, pare senza nessun motivo valido, il governo italiano soppresse l’istituto, che ben presto fu dimenticat­o.

Uno strato di polvere si posò sulle cattedre abbandonat­e e le piante del giardino seccarono ai primi geli dell’inverno. L’orto non serviva più e inevitabil­mente passò in secondo piano di fronte alla ricchezza artistica del complesso degli Incurabili. E qui l’attenzione tutt’ora è concentrat­a sulla settecente­sca Farmacia ideata dal Vaccaro (per la quale è previsto un intervento di riqualific­azione con fondi europei), sulla chiesa rinascimen­tale e sulla cappella affrescata dei Bianchi della Giustizia, recentemen­te riaperta al pubblico. I soldi del grande progetto Unesco non sono destinati alle piante e la curia non investe nella gestione dell’orto. Così i cespugli possono riprendere il sopravvent­o sulla storia partenopea della medicina naturale.

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 ??  ?? Rovinato Alcune immagini dell’orto come si presenta oggi. Sopra si scorge anche il tronco del grande albero
A fianco e in basso alcune piante in degrado come il loro cartellino
Rovinato Alcune immagini dell’orto come si presenta oggi. Sopra si scorge anche il tronco del grande albero A fianco e in basso alcune piante in degrado come il loro cartellino

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