Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’Orto Medico degli Incurabili Quando la memoria appassisce
Buche e foglie avvizzite al posto delle piante che erano state fatte tornare all’antica vita
Proprio al centro del giardino, dove prima spuntavano i delicati steli del thymus vulgaris, ora c’è un buco nero nel terreno. Poco lontano, i cartellini gialli che indicavano la presenza dell’aralia, della lavanda e del mirtus communis giacciono tra le erbe infestanti, mangiati dall’umidità. La flora selvatica ha riconquistato i suoi spazi nell’Orto Medico del complesso di Santa Maria del Popolo agli Incurabili, in cui oltre due secoli fa i dottori della storica Farmacia coltivavano le piante utilizzate per ricavare essenze curative. Dopo decenni di degrado, il sito era stato recentemente recuperato dall’associazione culturale «Il Faro d’Ippocrate» con il reinnesto degli originari arbusti. Ma i delicati vegetali richiedono una cura costante e un impiego di fondi che i volontari da soli non riescono ad assicurare.
«Nel complesso dell’antico ospedale di Caponapoli stiamo portando avanti un difficile lavoro di tutela e valorizzazione che non finisce mai e richiede una continua applicazione» - spiega Gennaro Rispoli, chirurgo e fondatore del Museo delle Arti Sanitarie - e la nostra associazione si occupa sia della chiesa che della straordinaria Farmacia, oltre al museo che arricchiamo sempre di nuovi oggetti storici. Le piante dell’Orto, che pure abbiamo recuperato, sono sostanzialmente sane, ma il giardino ha bisogno di un radicale rinnovamento ogni sei mesi. Sono tutte attività che portiamo avanti gratuitamente, tra medici e appassionati storici dell’arte, come possiamo».
Il giardino dei Semplici (da «medicina simplex») fu realizzato ai primi dell’Ottocento per consentire agli allievi del Collegio medico Cerusico di svolgere i loro studi sulle piante benefiche ed elaborare le essenze conservate nella spezieria ad uso dei malati. Al centro dell’orto si erge un secolare Canforo alto 35 metri, ma tutt’intorno sono praticamente scomparse le diverse erbe mediche che erano state piantate negli ultimi anni e corredate di targhette esplicative. I petali viola della salvia officinalis, usata un tempo come antinfiammatorio, le ruvide foglioline della melissa, buona contro l’insonnia, e le altre novanta specie con poteri curativi sono state ricoperte dalle erbacce o dissodate dalle piogge.
Appassisce dunque questa memoria viva della scienza omeopatica in città, che affonda le sue radici nelle vicende settecentesche dell’antico ricovero. In fondo al giardino devastato c’è una porticina nascosta tra i rampicanti. Attraverso quel modesto ingresso, accedevano all’orto le suore della Carità di Giovanna Anthida di Touret, la santa francese che giunse alla fine del XVIII secolo a Napoli per assumere la direzione dell’ospedale. Le sue fedeli consorelle conoscevano già tutti i segreti delle piante medicinali e le utilizzavano spesso per curare i malati per lo più poveri. Lavoravano pazientemente con pestello e mortaio per amalgamare le sostanze curative. Conservavano con attenzione le foglie e i fiori coltivati seguendo procedimenti secolari. Erano depositarie di una conoscenza empirica: si basavano sui risultati. Le foglie di canfora per i problemi respiratori, il tarassaco per aiutare il fegato, il tondo corbezzolo per benefici infusi e tisane.
Però una vera e propria razionalizzazione dell’area verde a fini sanitari avvenne, come detto, nel 1811, durante il regno di Murat, quando il giardino fu allestito «per insegnare agli allievi medici, chirurgi e farmacisti tutto ciò che concerne l’organizzazione e la fisica dell’uomo, oltre che i segni delle malattie».
Un’autorevole scuola medica che i Borbone, tornati nel frattempo al potere, pensarono bene di rilanciare con nuovi fondi e strutture.
Lo storico Carlo Celano racconta che gli «gli alunni vi imparano la struttura del corpo umano, i segni e i caratteri delle piante e delle droghe usuali e la chimica medicinale. Praticano inoltre le operazioni anatomiche, chirurgiche e chimiche, ed assistono alle cliniche del cennato ospedale». Ma nel 1871, pare senza nessun motivo valido, il governo italiano soppresse l’istituto, che ben presto fu dimenticato.
Uno strato di polvere si posò sulle cattedre abbandonate e le piante del giardino seccarono ai primi geli dell’inverno. L’orto non serviva più e inevitabilmente passò in secondo piano di fronte alla ricchezza artistica del complesso degli Incurabili. E qui l’attenzione tutt’ora è concentrata sulla settecentesca Farmacia ideata dal Vaccaro (per la quale è previsto un intervento di riqualificazione con fondi europei), sulla chiesa rinascimentale e sulla cappella affrescata dei Bianchi della Giustizia, recentemente riaperta al pubblico. I soldi del grande progetto Unesco non sono destinati alle piante e la curia non investe nella gestione dell’orto. Così i cespugli possono riprendere il sopravvento sulla storia partenopea della medicina naturale.