Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per niente Candida

- Di Candida Morvillo

Cara Candida, sono molto innamorata di un uomo con cui sto da tre anni, lui è divorziato e ha una bambina e la sua ex rende la nostra vita un inferno. Ha sempre da lamentarsi e minaccia di non dargli la figlia per il weekend, perché lui ha sempre sbagliato qualcosa, l’ha fatta sempre arrabbiare, poi all’ultimo minuto gliela dà sempre. Nei tre anni che siamo stati insieme, abbiamo passato noi due da soli soltanto una decina di fine settimana. Anche in vacanza la bimba era con noi. A me va anche bene, ma quello che non sopporto è la tirannia di questa donna che pretende di governare le nostre vite. E non sopporto la debolezza del mio compagno, che è talmente schiavo del desiderio di stare con sua figlia che accetta di tutto e si rifiuta di riconoscer­e che la sua ex non è una brava mamma. Dice che fa così perché è stressata per il lavoro e che fino all’ultimo non sa se è libera o no il weekend. Ma non è possibile che una madre molli sempre la figlia. Io ho 37 anni e desidero un figlio. Uno dei problemi è che lui non ha risorse per contribuir­e al mantenimen­to, almeno offrendo le stesse condizioni della prima figlia. Quando si è separato è stato molto generoso con la ex, le passa molti soldi, paga una scuola costosa, corsi di tutti i tipi. Io vorrei che nostro figlio avesse le stesse opportunit­à della sorella ma temo che non sarà così, soprattutt­o penso che sarà sempre un figlio di serie B, perché alla prima sono assicurati privilegi ottenuti con il ricatto di non farla vedere al padre. Alla mia età non posso aspettare a lungo e sento dentro di me un grande senso materno, infatti amo anche la bimba del mio compagno e faccio di tutto per farla stare bene, però ho paura. Ho paura che per far valere le mie ragioni dovrò trasformar­mi anche io in un’arpia che minaccia, strepita, pretende e che comunque perderò sempre perché l’altra ha un’arma più forte: può dargli o no sua figlia (perché se gliela desse solo nei giorni stabiliti dal giudice, a lui non basterebbe, lui ne è dipendente). Che devo fare?

Carla

Cara Carla, mi ha descritto l’inferno in terra. Il suo compagno non può ammettere che la sua ex è una manipolatr­ice perché, se lo facesse, dovrebbe ammettere che ha scelto la donna sbagliata. E, se dovesse riconoscer­e le cattive intenzioni di questa signora, dovrebbe ammettere la sua debolezza e la sua schiavitù. Lei si è innamorata di un uomo debole e la sua resistenza a diventare madre con lui è, a mio avviso, saggia. Non fa mai bene stare con un uomo che si può gestire solo con il ricatto, il senso di colpa e altre astuzie poco gratifican­ti. Ci sono donne che amano questi metodi e non ne conoscono altri. Non vivono serene, devono sempre inscenare il teatro della madre isterica, in conflitto permanente con l’ex. Ma lei non è l’unica al mondo a sopportare una situazione simile. Se nel 1996, nel film Il Club delle prime

mogli, tre amiche divorziate ordivano una congiura per spennare gli ex, rei di averle abbandonat­e per donne più giovani e belle, oggi, in un ideale remake, sarebbero le secondi mogli a coalizzars­i contro le prime, per privarle di assegni di mantenimen­to, tetti coniugali e altre prerogativ­e acquisite con il divorzio. La situazione richiede da parte del suo compagno un cambiament­o radicale, ma non lo vedo pronto. E lei è pronta a una vita di frustrazio­ni? O non vale forse la pena provare a ricomincia­re da capo?

Si resta sfiniti a furia di rincorrere chi non vuole essere raggiunto Cara Candida, sono un uomo di 50 anni, separato, due figli, una lama nel cuore. Non sono mai stato amato, non come avrei voluto, non quanto ho amato io. Che cosa resta dell’amore che diamo ogni giorno, lottando per far felice l’altro, raschiando ogni energia per vederlo sorridere? Per mia moglie ho fatto le capriole, le avrei regalato la luna, le avrei portato il sole a colazione ogni giorno. Voleva un giorno al mare e le regalavo le Maldive, voleva un golfino e le portavo un cachemire. Poi, niente era abbastanza, tutto era scontato. Ero scontato io che facevo i salti mortali per tornare a casa e cenare con lei e i bambini, che facevo viaggi assurdi pur di non stare lontano una notte da lei, che al lavoro trovavo lo slancio per fare di più solo per poterle dare di più, affinché fosse fiera di me di più. Ogni volta, le ho strappato un sorriso, ma mai la gioia. E, prima di lei, ho avuto solo donne che mi usavano ma poi non mi volevano accanto, o donne che mi dicevano che mi adoravano, ma come amico. Donne che poi correvano dietro ai mascalzoni che le facevano soffrire e tornavano da me cercando una spalla su cui piangere. Perché le donne non vedono gli uomini perbene, perché se le ami ti danno per scontato e se le maltratti ti corrono dietro?

Grazie, B.

Caro B. all’eterna domanda del perché amiamo chi ci fa soffrire si è risposto da solo, ma senza accorgerse­ne. Lamenta che le donne corrono dietro i mascalzoni e non vedono gli uomini perbene sulla cui spalla piangono, ma lei sta facendo esattament­e la stessa cosa: rincorre le donne che non la vogliono, che la tollerano a malapena, cerca solo quelle pronte e mortificar­la. Il mondo è pieno di donne che chiedono non solo di essere amate ma di amare, ma lei deve avere una vista selettiva per il quarto sbagliato del cielo. Cerca quelle che le fanno male, si convince che per farsi amare deve servire le stelle come se non si ritenesse mai abbastanza così com’è. Siamo ognuno il Sole, la Luna, tutto il mondo, siamo tutti abbastanza se impariamo per primi a volerci bene e se non consentiam­o a nessuno di farci male né in buona né in mala fede. A furia di rincorrere chi non vuole essere raggiunto restiamo sfiniti e non c’è vero amore che possa cominciare. Ora che è separato, ha l’opportunit­à di rifondare se stesso. Deve solo imparare a dirsi che è abbastanza così com’è, non per il superfluo che può dare. È più facile raccontarc­i che sono gli altri sbagliati piuttosto che riconoscer­e che abbiamo sbagliato noi a sceglierli. E una delle cose più difficili nella vita è imparare a evitare le situazioni di cui fatalmente ci lamenterem­o. Lamentarci è un fantasmago­rico teatro di cui è facile essere protagonis­ti. È lo strumento che ci consente di dire al mondo che siamo migliori di qualcun’altro e prenderci l’applauso. Poi, quando cala il sipario, si è soli e di cosa possiamo lamentarci con noi stessi? Che abbiamo sprecato energie per star male, invece che per star bene.

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