Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA BATTAGLIA PER UNA CITTÀ NON VIOLENTA
Negli ultimi tempi si è tornato a parlare del clima di violenza che si respira a Napoli. I motivi che sollecitano una riflessione non episodica sono evidenti. L’efferata uccisione della guardia giurata Francesco Della Corte nella stazione della metropolitana di Piscinola, le gravi aggressioni subite da ragazzi a causa di baby-gang, le «stese» in varie zone della città suscitano allarme. Non possono passare inosservate. Ci sono troppe armi in giro. Come anche persistono elevati indici di economia illegale. Né ci si può sentire rassicurati dall’intensificarsi dei flussi turistici, che addirittura possono divenire un paravento per evitare di affrontare i problemi della nostra convivenza. Bisogna liberarsi da una mentalità ipocrita per cui se si richiama l’attenzione su questi temi si provoca un danno all’immagine di Napoli. D’altronde, si è di fronte a questioni che non sono di oggi, eppure – ed è questa la novità – risultano più che nel passato inaccettabili e spingono a reagire. Ne sono prova le manifestazioni dei ragazzi tenutesi in questo periodo. Dapprima a Miano, il corteo di studenti e rappresentanti di associazioni per testimoniare la vicinanza a Gaetano, Arturo e ad altri ragazzi vittime di violenze. In tempi più recenti, la manifestazione fatta da molti ragazzi per le strade di San Giovanni a Teduccio per dire no alle «stese» e all’intimidazione che si percepisce nel quartiere. Miano e San Giovanni a Teduccio sono due aree di periferia, da cui affiorano segnali di rottura con la violenza che meritano grande attenzione.
Ed anche la straordinaria partecipazione di popolo alla celebrazione liturgica del Gesù Nuovo presieduta dal cardinale Sepe in occasione dei cinquant’anni della Comunità di Sant’Egidio fa emergere la voglia di una città diversa, più umana e rispettosa verso la vita di tutti. Un popolo di diversa condizione sociale e di ogni età, solidale l’uno verso l’altro.
Se non si dà il giusto rilievo a queste manifestazioni, da dove scaturisce la speranza per Napoli?
Il problema allora non è negare gli atti di inaudita brutalità, ma costruire una rete giorno per giorno, cominciando con i più giovani, che dica no alla violenza.
C’è bisogno di costruire un noi che chiede in primo luogo il costante impegno delle istituzioni ma anche di ogni cittadino. Si tratta di rompere con la complicità, l’indifferenza, la rassegnazione nel dire «è sempre stato così». Ce lo chiedono i ragazzi di Miano e di San Giovanni a Teduccio. Occorre elaborare un nuovo patto di cittadinanza in cui il dialogo è la vera alternativa alla violenza.
È un lavoro paziente, da cui nessuno si può sentire escluso. Ma non si comincia da zero. Vi sono persone che, senza protagonismi, si adoperano ogni giorno per migliorare le condizioni di vivibilità dell’area partenopea. Soprattutto deve essere assidua l’attenzione nei confronti delle giovani generazioni. «La pace potrà essere raggiunta – ha rilevato il grande sociologo Zygmunt Bauman – solo se daremo ai nostri figli le armi del dialogo, se gli insegneremo a lottare per l’incontro, per cooperare insieme, per il negoziato e non per la vittoria».
Sono parole di grande rilevanza, che attribuiscono un ruolo strategico agli intellettuali e a tutti coloro che hanno a cuore le sorti di Napoli. Non serve pensarsi come un’isola: siamo accomunati da un destino comune. Bisogna spendersi con tutte le energie possibili, nell’intento di rendere possibile il sogno di una città senza violenza.