Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Veleni sul Vesuvio Denunciati in 21, sigilli a 14 aziende
Era luglio, il Vesuvio bruciava. C’erano fiamme altissime che avevano avvolto in una cappa anche la città. Quel fumo era nero, denso e non bruciavano solo alberi e fogliame secco. Fu proprio una inchiesta del Corriere del Mezzogiorno a svelare un drammatico retroscena: tra le pendici del Vesuvio c’erano minidiscariche a cielo aperto di scarti di rifiuti tessili, di pneumatici, bidoni con sostante chimiche, plastiche.
Chi stava dando fuoco ai pini voleva cancellare le tracce dello scandalo, dello schifo che avevano lasciato. Dopo quella denuncia choc corredata di foto e video le indagini hanno preso un impulso rapido e concreto e a meno di un anno, poco prima del caldo estivo che renderà l’intera area ancora una volta fragile e facile preda di criminali con gli accendini in tasca, i carabinieri sono intervenuti dando un segnale concreto a chi pensava di rendere il Vesuvio, ancora una volta, una discarica a cielo aperto.
Tanto ancora c’è da fare ma ieri un segnale è stato lanciato e anche forte con la denuncia di ventuno persone e il sequestro di quattordici aziende. È stata l’indagine serrata del reparto carabinieri Parco Nazionale del Vesuvio che ha disposto numerosissimi controlli per contrastare lo smaltimento illecito di rifiuti nel territorio del parco e nelle aree accanto, ovvero le terre dove ci sono i noccioleti, i castagni, le viti e i tanti orti privati. Da San Sebastiano a Boscoreale, da Ottaviano a Torre del Greco: tredici i comuni che sono stati scandagliati in ogni angolo. Si è partiti dagli scarti. Da quegli imballaggi rovinosamente abbandonati lungo le pendici del Vesuvio durante la notte. Grazie alle tracce degli pneumatici e dei fuori strada, metro dopo metro si è arrivati ad individuare l’origine di quel
male. E così le indagini hanno riguardato soprattutto attività e aziende ritenute a maggior rischio proprio in virtù del lavoro che svolgono per lo smaltimento di rifiuti pericolosi. Nessuna delle ditte sospettate aveva i documenti che attestavano il deposito regolare delle scorie prodotte. Erano dunque loro alcuni dei responsabili di quel disastro ambientale. Sono stati sequestrati quattro opifici tessili, tre autolavaggi, cinque officine meccaniche e di autocarrozzeria e un impianto di recupero rifiuti, nonché un’area adibita a discarica e un deposito di rifiuti non autorizzati. Insomma dalle parti del Vesuvio molti facevano ciò che volevano con un totale disprezzo della natura, senza considerare i rischi connessi in caso di incendi, com’è stato la scorsa estate.
Sono state denunciate all’autorità giudiziaria ventuno persone e comminate dodici sanzioni amministrative per l’importo complessivo di 30.000 euro circa. Negli opifici tessili, tutti cinesi, poi sequestrati sono stati rinvenuti rifiuti speciali consistenti in scarti di lavorazioni tessili tenuti senza annotazione nei prescritti registri di carico e scarico. Erano proprio quei sacchi neri dove fuoriuscivano pezze di ogni colore che il Corriere del Mezzogiorno aveva fotografati ad uno ad uno nei giorni successivi agli incendi che hanno sconvolto il paese. C’erano poi gli autolavaggi che smaltivano illegalmente i rifiuti speciali, anche pericolosi.