Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Benevento, perdere con stile
Il campionato del Napoli e del Benevento è e resterà storico. Per motivi diversi, addirittura opposti ma egualmente esaltanti. La squadra di Sarri ha espresso il calcio più bello della serie A ma la bellezza del gioco di Insigne e Mertens, Hamsik e Callejon con molta probabilità non sarà sufficiente per vincere lo scudetto. La squadra di De Zerbi ha vissuto un’esperienza unica non solo nella sua storia ma nelle vicende della massima serie, ora cadendo all’Inferno e ora sentendosi in Paradiso, tanto che la stessa retrocessione in serie B sembra essere un fatto secondario. I «primi» e gli «ultimi» della classe hanno, però, qualcosa che li accomuna e insieme li distingue: la vittoria passa per la sconfitta. Il Benevento esce dalla serie A senza piagnistei, senza recriminazioni, senza isterismi. Il Napoli esce dalla corsa scudetto - a meno di capriole dell’ultim’ora, sempre possibili - con risentimento, con dietrologia e, tutto sommato, con una ingenerosità verso se stesso che non merita. Tanto che proprio Maurizio Sarri, subito dopo il disastro di Firenze, ha avvertito la necessità di dire che non è il caso di cercare alibi: «Io penso solo al campo, non voglio pensare a nient’altro. Pensiamo al campo senza secondi pensieri».
La battaglia del Benevento è stata epica, un po’ come quella del povero Manfredi contro Carlo d’Angiò. In fondo, la regola più importante è sempre la medesima: bisogna saper perdere. Il Benevento lo ha fatto con stile riuscendo a conquistare non solo la simpatia delle tifoserie avversarie, che in genere è rivolta verso i più deboli, ma la stima delle squadre rivali che hanno apprezzato nei giallorossi del Sabato e del Calore una qualità di gioco e una volontà di partecipazione che avrebbero senz’altro meritato una migliore sorte. Sì, perché è vero che se la squadra del presidente Vigorito non avesse perso, come purtroppo è avvenuto, molte partite a tempo ormai scaduto ora avrebbe tra i trenta e i quaranta punti e lotterebbe per la salvezza. Eppure, gli stregoni non solo non si sono mai rifugiati in calcio d’angolo ma non hanno mai preso in considerazione alcuna teoria del complotto e hanno sempre scelto la via del gioco in campo. Lo stile Benevento - sia detto senza enfasi - dovrebbe essere preso come esempio, dovrebbe fare scuola in un campionato come quello italiano in cui troppo spesso si ricorre agli alibi, alle recriminazioni, al giustizialismo calcistico come succedaneo del giustizialismo politico. Dal canto suo, il campionato del Napoli è stata una esaltante cavalcata. Soprattutto se si considera che la rosa a disposizione di Sarri era ridotta fin dall’inizio e fin dal principio ha perso pezzi importanti. Ciò nonostante il Napoli ha giocato le sue carte con intelligenza confidando soprattutto su quello che è il miglior prodotto dell’era Sarri: il possesso palla. L’allenatore toscano ha costruito una macchina da calcio che sembrava ispirata al grande principio di Nils Liedholm e della sua Roma: «Fino a quando abbiamo noi la palla non prendiamo gol». L’altro giorno a Firenze, dopo l’espulsione di Koulibaly, il Napoli si è sentito come spaesato e ha giocato la sua peggior partita perché per la prima volta non era padrone né del campo né della palla. È una sconfitta calcistica che va accettata e spiegata con il pallone. Infatti, nessun discutibilissimo arbitraggio di Orsato a San Siro giustifica la sconfitta del Napoli.