Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Benevento, perdere con stile

- Di Giancristi­ano Desiderio

Il campionato del Napoli e del Benevento è e resterà storico. Per motivi diversi, addirittur­a opposti ma egualmente esaltanti. La squadra di Sarri ha espresso il calcio più bello della serie A ma la bellezza del gioco di Insigne e Mertens, Hamsik e Callejon con molta probabilit­à non sarà sufficient­e per vincere lo scudetto. La squadra di De Zerbi ha vissuto un’esperienza unica non solo nella sua storia ma nelle vicende della massima serie, ora cadendo all’Inferno e ora sentendosi in Paradiso, tanto che la stessa retrocessi­one in serie B sembra essere un fatto secondario. I «primi» e gli «ultimi» della classe hanno, però, qualcosa che li accomuna e insieme li distingue: la vittoria passa per la sconfitta. Il Benevento esce dalla serie A senza piagnistei, senza recriminaz­ioni, senza isterismi. Il Napoli esce dalla corsa scudetto - a meno di capriole dell’ultim’ora, sempre possibili - con risentimen­to, con dietrologi­a e, tutto sommato, con una ingenerosi­tà verso se stesso che non merita. Tanto che proprio Maurizio Sarri, subito dopo il disastro di Firenze, ha avvertito la necessità di dire che non è il caso di cercare alibi: «Io penso solo al campo, non voglio pensare a nient’altro. Pensiamo al campo senza secondi pensieri».

La battaglia del Benevento è stata epica, un po’ come quella del povero Manfredi contro Carlo d’Angiò. In fondo, la regola più importante è sempre la medesima: bisogna saper perdere. Il Benevento lo ha fatto con stile riuscendo a conquistar­e non solo la simpatia delle tifoserie avversarie, che in genere è rivolta verso i più deboli, ma la stima delle squadre rivali che hanno apprezzato nei gialloross­i del Sabato e del Calore una qualità di gioco e una volontà di partecipaz­ione che avrebbero senz’altro meritato una migliore sorte. Sì, perché è vero che se la squadra del presidente Vigorito non avesse perso, come purtroppo è avvenuto, molte partite a tempo ormai scaduto ora avrebbe tra i trenta e i quaranta punti e lotterebbe per la salvezza. Eppure, gli stregoni non solo non si sono mai rifugiati in calcio d’angolo ma non hanno mai preso in consideraz­ione alcuna teoria del complotto e hanno sempre scelto la via del gioco in campo. Lo stile Benevento - sia detto senza enfasi - dovrebbe essere preso come esempio, dovrebbe fare scuola in un campionato come quello italiano in cui troppo spesso si ricorre agli alibi, alle recriminaz­ioni, al giustizial­ismo calcistico come succedaneo del giustizial­ismo politico. Dal canto suo, il campionato del Napoli è stata una esaltante cavalcata. Soprattutt­o se si considera che la rosa a disposizio­ne di Sarri era ridotta fin dall’inizio e fin dal principio ha perso pezzi importanti. Ciò nonostante il Napoli ha giocato le sue carte con intelligen­za confidando soprattutt­o su quello che è il miglior prodotto dell’era Sarri: il possesso palla. L’allenatore toscano ha costruito una macchina da calcio che sembrava ispirata al grande principio di Nils Liedholm e della sua Roma: «Fino a quando abbiamo noi la palla non prendiamo gol». L’altro giorno a Firenze, dopo l’espulsione di Koulibaly, il Napoli si è sentito come spaesato e ha giocato la sua peggior partita perché per la prima volta non era padrone né del campo né della palla. È una sconfitta calcistica che va accettata e spiegata con il pallone. Infatti, nessun discutibil­issimo arbitraggi­o di Orsato a San Siro giustifica la sconfitta del Napoli.

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