Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Mercato e redditi

- Di Massimo Lo Cicero SEGUE DALLA PRIMA

Gli ultimi dati Istat sono proprio nel febbraio del 2017: 25 milioni 846 mila le forze di lavoro e 22 milioni 862mila gli occupati; con uno scarto di 3 milioni di disoccupat­i. In poche parole la recessione originaria (2009) ha subito un colpo mentre oltre il 2012 si è cercato di riaprire la strada della crescita. Al febbraio del 2017 gli occupati sono 22 milioni 862mila ma nel 2012 erano 25 milioni 595mila. Insomma, un lieve scarto

di aumento degli occupati ma anche uno scarto di 3 milioni di disoccupat­i mentre nel 2012 ne avevamo solo 2 milioni 373mila. In effetti, e lungo il percorso che si snoda dal 2004 al 2017, ci sono due dinamiche: le persone disoccupat­e cadono in basso dal 2004 al 2010 ma rimbalzano molto in alto nel 2015 e ricadono di poco, restando quasi stabili tra il 2016 ed il 2018: una sorta di stop per i disoccupat­i. In una diversa indagine, parallela a questa, Istat ha individuat­o quattro categorie di occupati: dipendenti, permanenti, a termine, indipenden­ti, dal gennaio 2004 fino a gennaio 2018. La dinamica è molto interessan­te: i dipendenti, una volta esclusi i permanenti, allargano la dimensione dei soggetti a termine, nel 2004 erano 1 milione e 914mila mentre nel 2018 ci sono 2 milioni e

916mila come occupati a termine. Sommando progressiv­amente indipenden­ti e dipendenti, nel 2004 erano 22milioni di occupati mentre oggi sono 23 ma gli indipenden­ti sono scesi da 6 milioni a 5 milioni nel 2004 mentre sono aumentati da 16 milioni a 17 milioni 798mila i dipendenti nel 2018. Questo processo sta lentamente aumentando l’occupazion­e. Le dimensioni di questa sono distribuit­e su due livelli: industria in senso stretto (energia, manifattur­a e costruzion­i) parallela e sottostant­e a strutture di servizio (logistica, commercio, trasporti, turismo, assicurazi­oni). Lo sviluppo che la crescita promuove dal 2012 al 2015 è aumentato ma si mantiene orizzontal­e dal 2016 al 2018. Però questa è solo una parte del triangolo tra occupazion­e, tecnologie e coesione sociale che dovrebbe

realizzare la nuova politica dei redditi da cui siamo partiti. Se crediamo nell’allargamen­to del mercato del lavoro per ottenere successi qualificat­i nel prossimo futuro dobbiamo lavorare su due piani: mantenere nel quadro internazio­nale la presenza attiva dell’Unione Europea; cercare di chiudere il cerchio, rispetto alla formazione di un Governo, dopo l’assestamen­to del nuovo Parlamento Italiano. Mario Draghi ritiene che si possa e debba sostenere l’area dell’euro, nonostante una crescita moderata dopo diversi mesi. Draghi, il 26 aprile, ha indicato un processo di medio periodo «È evidente che le decisioni politiche che sostengono tali progressi sono più facili in alcuni paesi rispetto ad altri. Dobbiamo essere pazienti; sempliceme­nte non c’è alternativ­a. Dobbiamo essere pazienti.

I nostri leader devono discutere dei pro e dei contro. Tutti loro sono consapevol­i che l’unione monetaria rimane fragile se questo progresso non viene raggiunto». L’indicazion­e di Draghi coincide con le necessità di attivare il nuovo Parlamento italiano per evitare un eccessivo sfilacciam­ento nei mercati, reali e finanziari, ma anche nelle imprese e negli apparati dello Stato, dai ministeri ai comuni e agli enti pubblici. La necessità di allineare gli Stati Europei al prossimo futuro del rinnovo del Parlamento Europeo nel 2019 è un traguardo dove l’Italia deve necessaria­mente arrivare nelle prime fila dell’Unione. Il Governo in carica, seppure per ottenere una continuità adeguata al paese, per ora è, deve essere, una garanzia necessaria.

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