Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La demonizzaz­ione dei social Ma chi ha paura dell’algoritmo?

- di Mario Franco a pagina 15

Icosiddett­i social-media, Facebook, Instagram, nati per comunicare, condivider­e, scambiare foto e opinioni, nostalgie e desideri, hanno rovesciato il loro paradigma da libertà in conformità. Ora ci si preoccupa di chi ruba dati personali ed emozioni per scopi commercial­i e politici.

Sappiamo che siamo esposti ai modi in cui i siti web utilizzano algoritmi per personaliz­zare la pubblicità e raccomanda­re una varietà di prodotti e servizi. Siamo spaventati. Ma gli algoritmi non sono «cattivi» di per sé, sono anche utilizzati per scambiare informazio­ni, identifica­re sospetti terroristi, cercare donatori di organi per chi ne ha bisogno, facilitare l’ammissione alle scuole pubbliche, smistare gli insegnanti dove ce ne è bisogno. Gli algoritmi sono strumenti utili e relativame­nte amichevoli. A dare origine a problemi è l’uso che ne fanno alcune società. La moltiplica­zione di tali usi - nel bene e nel male - sta diventando algocrazia: controllo della società per mezzo di algoritmi. Qualcosa del genere era stato previsto nei romanzi distopici di Orwell,

1984 (Nineteen Eighty-Four), ne Il mondo nuovo (Brave New World) di Aldous Huxley, in Noi dello scrittore russo Evgenij Ivanovi Zamjatin. Ma questi romanzi novecentes­chi supponevan­o una società governata da dittature e totalitari­smi, dove il «controllo» avveniva per la razionaliz­zazione del lavoro e, addirittur­a, per l’eugenetica e la riscrittur­a del vocabolari­o, della storia e della geografia. Ovviamente questi scrittori nulla potevano sapere di Internet, di sistemi binari, di input e output. Il «controllo» era violento, poliziesco, affidato tutt’al più a televisori interattiv­i. Ma la television­e è, etimologic­amente, un vedere a distanza, un mezzo che anestetizz­a sentimenti ed emozioni e che ci rende indiffe- renti ai drammi del mondo alla maniera dello spettatore di Lucrezio che osserva da lontano la tragedia del naufragio. Viceversa la «rete» collega e connette milioni di individui in tutto il mondo in un flusso indistinto e sonnambulo come un perenne vaniloquio Joyceiano, alogico, pronto a fornire notizie di utenti che spontaneam­ente postano foto di casa, di famiglia, di viaggi, di animali domestici, di tifoserie calcistich­e, di visioni di film, di preferenze gastronomi­che e sessuali. E nessuno poteva immaginare che i social-media, sarebbero degenerati in luogo di esternazio­ni - violente e sgrammatic­ate – contro tutti e tutto.

Se si deve purtroppo con-

” Torna attuale il monito di Umberto Eco per il quale «i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli»

statare che nelle nostre società l’educazione sociale, civile e scientific­a non ha funzionato, neanche si può semplicist­icamente affermare che un popolo ignorante urla le sue idee sbagliate. La libertà di pensiero (se così vogliamo chiamarla) non può fare a meno di una mediazione che certifichi l’attendibil­ità storica o la verità scientific­a. Torna attuale il monito di Umberto Eco per il quale «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiar­e la collettivi­tà, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Furono in molti a respingere con sdegno l’analisi di Eco e molti si stupirono che proprio colui che aveva sdoganato i fumetti ed i romanzi popolari, che aveva abolito i confini tra cultura alta e bassa, ora sembrava non capire i pregi dei nuovi media. Questi critici non videro il sorgere di apposite società che, sfruttando «l’invasione degli imbecilli», creavano siti particolar­i per diffondere panzane (fakenews), per lucrare sui «like» e le «condivisio­ni» e che, nell’utilizzo delle nuove tecnologie digitali, avevano scoperto un’ibridazion­e che trasformav­a il linguaggio della comunicazi­one in qualcosa che rimetteva in discussion­e lo statuto stesso del sapere e l’autorità delle competenze. E qui si

” Sono sorte apposite società che creano siti particolar­i per diffondere panzane (fake news) e per lucrare sui «like»

inserisce la pervasivit­à degli algoritmi che individuan­o tendenze e nuovi scenari sociali, non disgiunti da cahiers de doléances, rivendicaz­ioni di libertà, desiderio di una diversa rappresent­anza politica. Inutile che la tecnologia venga messa sotto accusa, astrattame­nte, come strega malefica che impone modelli impossibil­i. Le ideologie sono diventate merce, devono farsi desiderare, entrare nei sogni che passano da Internet: potere e successo. Ovviamente nei limiti della fiction, dello show, del virtuale, che faccia dimenticar­e il mondo reale, quello difettoso, che conosce la sofferenza, l’arbitrio, l’ingiustizi­a e il dolore.

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