Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il sopravvissuto: «L’alluvione di Sarno mi portò via tutto»
«Sotto quel fango ho perso tutto, famiglia, casa. Ma ho cambiato il mio modo di vedere la vita».
NAPOLI «Sono dovuto andare via da Sarno, qui sarei rimasto per tutti, inevitabilmente, Robertino salvato dal fango. Ho voluto ricominciare, riprendermi la mia vita. Poi però sono tornato, oggi vivo qui per far crescere i miei figli dove sono le mie radici».
Roberto Robustelli aveva 23 anni nel 1998, quando — il 5 maggio — il suo paese fu investito da acqua e detriti. Il ragazzo rimase 76 ore sotto le macerie di un garage prima di essere salvato dai vigili del fuoco. Fu l’ultimo a essere estratto vivo. Dietro di lui, una tragica scia di 137 morti. Quell’immobilità forzata, quei momenti di sospensione tra la vita e la morte, poi raccontati in un libro edito nel 2000 da Pironti, hanno profondamente modificato il carattere di Robustelli e il suo approccio alle cose della vita.
Ora sembra Roberto il fiume in piena: si muove frenetico nel suo studio di immagine e comunicazione, rilascia interviste, organizza e coordina, siede in consiglio in comunale (capogruppo Pd) e sta anche traslocando.
Roberto, come vive il ventennale dell’alluvione?
«In realtà sono quasi all’esaurimento, non riesco a fermarmi un attimo, tutti vogliono rievocare, ricordare... ma per me il 5 maggio è tutti i giorni. Non mi serve certo l’occasione del ventennale. Quella storia ce l’ho dentro e mi è servita da insegnamento per la vita. Un mese fa sono stato a L’Aquila per i nove anni dal terremoto e capisco che le date possono muovere i sentimenti, le passioni. Ma per me è vita quotidiana».
Perché decise di lasciare Sarno?
«Non volevo fare pena a tutti. Avevo perso la famiglia, la casa, ero il sopravvissuto per antonomasia. Difficile convivere con questa immagine. E poi prendevo pillole per dormire, pillole per mangiare, mi mancavano solo le pillole per i sensi di colpa. Quelle non c’erano...».
Quale colpa?
«Quella di essere l’unico riuscito a sopravvivere». Allora cosa ha fatto? «Sono andato a Roma, mi sono diplomato in fotografia, poi mi sono laureato in Sociologia con una tesi sugli immigrati. Perché so bene cosa significa sentirsi sradicati e soli. Ma sono stato anche in Centro America per missioni umanitarie. Alla fine ho capito che il Terzo Mondo è qui da noi. Ho provato a svolgere qui la mia missione di solidarietà, ma non so se ci sono riuscito. Di certo il leit motiv della mia vita è quello di aiutare gli altri».
Come racconta la sua storia ai suoi figli?
«Per ora Sveva è piccola, ha solo 14 mesi. Ma con Tano mi è già capitato. Lui è tornato da scuola dicendo: papà, la maestra mi ha detto che sei un eroe. Ma quale eroe!, gli ho risposto. Ho cercato di fargli capire che gli eroi sono quelli che hanno lavorato per salvarmi, per tirarmi fuori dalle macerie».
Difficile dirlo oggi, ma secondo lei quella tragedia si poteva evitare?
«Non so, ma dal momento
Oggi vivo qui per far crescere i miei figli dove sono le mie radici