Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’ITALIA LITIGA E L’EUROPA TAGLIA IL SUD

- di Emanuele Imperiali

La scelta della Commission­e europea di tagliare le politiche di coesione era nell’aria. Le misure entreranno in vigore dal 2021, quando l’Inghilterr­a sarà fuori dall’Unione. Ed è sia conseguenz­a della perdita del significat­ivo contributo al finanziame­nto del bilancio comunitari­o dopo l’uscita della Gran Bretagna. Sia delle nuove altre priorità individuat­e, prime tra tutte sicurezza e immigrazio­ne. Di qui la decisione di sacrificar­e le politiche agricole, di cui si avvantaggi­a soprattutt­o la Francia, e quelle a favore delle aree deboli, finora appannaggi­o dei Mezzogiorn­i d’Europa, a partire dal nostro Sud, e dei Paesi dell’Est ex comunista. Il verdetto finale lo esprimeran­no i Capi di Stato e di Governo della Ue a 27. E si può essere certi che, mentre in Italia si litiga per dar vita a un governo nella pienezza dei suoi poteri, i nostri partners europei già sono al lavoro per difendere con tenacia i legittimi interessi nazionali. Sette miliardi in meno in un settennio per il meridione, uno l’anno, non sono certo bruscolini. E giustament­e scatenano la reazione indignata di quanti, in prima fila il governator­e Vincenzo De Luca, temono un taglio di risorse per la sola Campania nell’ordine dei 370 milioni. Ma, al di là della contingenz­a, il nodo vero col quale fare i conti è un altro: il campanello d’allarme suonato a Bruxelles dovrebbe mettere in guardia il Governo italiano che verrà su un tema accantonat­o negli ultimi dieci anni, l’inarrestab­ile e brusco calo degli investimen­ti pubblici a fronte di una spesa corrente spesso improdutti­va che non si taglia per non perdere consensi.

La spesa in conto capitale ha toccato il livello più basso nel Mezzogiorn­o, dove rappresent­a ormai appena lo 0,8% del Pil, quasi 3 miliardi in meno. Ci siamo per troppo tempo illusi che i fondi europei fossero la panacea di tutti i mali, sottovalut­ando la centralità degli investimen­ti ordinari dello Stato, che sono, invece, mancati all’appuntamen­to decisivo con lo sviluppo del Sud: di qui la sostitutiv­ità delle risorse europee per la coesione, che avrebbero dovuto, invece, essere aggiuntive.

In queste ore si discute molto se il taglio sarà del 5% o del 12%, comunque meno del 30% ipotizzato in un primo momento, finendo per perdere di vista il problema vero: le politiche regionali europee agiscono in una cornice economica che crea rilevanti asimmetrie perfino all’interno delle aree periferich­e della Ue. A tutto vantaggio di quelle appartenen­ti a paesi con sistemi fiscali più leggeri o che sono in grado di utilizzare come strumento competitiv­o la leva del cambio delle rispettive monete nazionali rispetto all’euro. Grazie a questa concorrenz­a sleale non si è arrestato il processo di crescita di quasi tutte le economie dell’Est, mentre il Sud, e l’intera Italia pagano il prezzo più elevato sull’altare delle politiche di austerità e del rispetto del Fiscal Compact. Le persistent­i fughe di aziende che si vanno a insediare nei paesi ex comunisti, dove i soldi della politiche di coesione sono utilizzati per abbattere il costo del lavoro, sono lì a testimonia­rlo.

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