Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quei 27 mesi di violenza e la trattativa Stato-Br-camorra

- Di Franco Roberti

«La lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio», suona così uno dei più noti aforismi di Milan Kundera, che vale per tutti i poteri criminali e occulti intrecciat­i tra loro nei bassifondi della politica e della storia.

Me ne sono ricordato leggendo su queste colonne la bella e dolente lettera di Arnaldo, il figlio di Pino Amato, ucciso dalle Br a Napoli il 19 maggio 1980. Ricordo bene quella data e quel delitto, che inaugurò la scia di sangue della colonna napoletana delle Br e l’infame patto tra il «partito guerriglia» e la camorra cutoliana, cementato con la trattativa per il rilascio di Ciro Cirillo e operativo fino al 1982 con gli agguati mortali contro l’assessore regionale Raffaele Delcoglian­o e contro il capo della squadra mobile Antonio Ammaturo, che stava indagando proprio sulle connession­i tra politica e camorra. Non per caso, il rapporto tra mobilitazi­one sociale e terrorismo aveva trovato

proprio a Napoli uno dei luoghi di massima espression­e. Nei confronti del terrorismo, sia di destra che di sinistra, la camorra degli affari svolgeva il ruolo di «imprendito­re della violenza», offrendo risorse organizzat­ive e coperture di ogni genere.

L’omicidio di Pino merita di essere ricordato anche per il suo legame, non solo temporale, con altri due terribili delitti diretti a colpire, due anni dopo Aldo Moro, gli uomini migliori della Democrazia cristiana, che lottavano per il rinnovamen­to di quel partito e della politica. A Roma, il 12 febbraio, le Br avevano ucciso Vittorio Bachelet che, oltre ad essere il vice presidente del Csm, era anche un esponente Dc amico e ammiratore di Moro. Lo stesso destino, appena un mese prima, il 6 gennaio, era toccato al presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, anche lui amico di Moro e promotore di una profonda azione riformatri­ce della politica siciliana. E se per quest’ultimo delitto gli autori non sono stati identifica­ti e la matrice appare riconducib­ile alla destra eversiva in probabile combutta con Cosa nostra, non v’è dubbio che esso ebbe in comune con l’omicidio l’obiettivo di colpire gli uomini-simbolo del cambiament­o, rispettiva­mente, della Regione Sicilia e della Regione Campania. Di bloccare per sempre, dopo avere spento con Moro il progetto di democrazia compiuta nel Paese, gli uomini che, pur consapevol­i dei pericoli che correvano, si battevano a viso aperto contro la mala politica, clientelar­e e mafiosa, orbitante attorno ai fondi e agli appalti regionali. A Palermo come a Napoli.

È doveroso ricordare che, tra il 1979 e il 1980, dopo la comparsa di Prima linea e, poi, delle Br, erano caduti in agguati mortali anche il magistrato salernitan­o Nicola Giacumbi e il criminolog­o Alfredo Paolella. Nello stesso arco di tempo, in feroce contrappun­to alla violenza brigatista, la camorra cutoliana colpiva a morte altri politici e amministra­tori onesti come Marcello Torre, Pasquale Cappuccio e Domenico Beneventan­o,

È ragionevol­e escludere che in questo tragico scenario vi sia stata una regia comune? Dobbiamo rassegnarc­i a questa idea, che riflette la più comoda vulgata corrente o non avremmo il diritto e il dovere — verso quei martiri e verso noi stessi — di cercare di capire se altri centri di interesse e personaggi forse ancora identifica­bili abbiano, come nel caso Moro, quanto meno orientato le azioni criminali proprio contro quegli obiettivi? Ma come dar torto ad Arnaldo quando denunzia che il ricordo delle vittime è ormai affidato soltanto ai familiari che «non hanno la forza di raccontare la verità», perché non a loro ma ad altri toccherebb­e di ricercarla, quella verità?

Qualcuno ci provò a fare piena luce su quei ventisette mesi di violenza e sulla trattativa Stato-Br-Camorra, svoltasi in un torbido scenario di vicende politico-mafiose, che avvelenaro­no Napoli e segnarono, da un lato, l’inizio della fine del terrorismo brigatista, dall’altro, l’ingresso del potere camorrista nelle istituzion­i e nell’economia. Tra i pochi che ci provarono, con successo, fu il giudice Carlo Alemi la cui istruttori­a riguardò sia gli omicidi commessi dai brigatisti a Napoli che il sequestro Cirillo e la trattativa che ne era seguìta.

L’indagine sul caso Cirillo, volta ad accertare la verità, per quanto dolorosa e vergognosa per lo stato di diritto essa fosse, fu condotta da Alemi nel più totale isolamento, anche all’interno del proprio ufficio e in dissenso con la Procura, mentre infuriava contro di lui una forsennata campagna diffria orchestrat­a da esponenti di vertice della Dc e da parte della stampa.

Ma i risultati di quella coraggiosa indagine, come quelli dell’istruttori­a sugli omicidi brigatisti a Napoli, furono pienamente confermati in tutte le sedi giudiziari­e.

Oggi occorrereb­be ripartire da quelle pagine processual­i per approfondi­re la ricerca storica. Sarebbe una buona occasione per fare memoria sfuggendo alla retorica. Non si tratterebb­e soltanto di ricordare, ma di lottare per non dimenticar­e.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy