Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Offesa la scenografi­a verde del Niccolini dove il Winckelman­n sudò sette camicie

Il vero colpo di genio dell’architetto furono i due vasi canopi della scalinata

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all’ultimo grido dei giardini contempora­nei. Aveva già sistemato il parco della Villa Floridiana e, per Capodimont­e, ricorse ad uno scenario monumental­e a partire dall’ideazione del Tondo (1826) che è in verità una splendida ellissi che spartiva il traffico carrabile da quello pedonale, incanaland­o i passanti verso un’ascesa gradevolme­nte accompagna­ta dal verde. Il progetto originario del Niccolini dovette fare i conti con la Direzione Ponti e Strade che si occupava allora delle istanze di natura economica e che avrebbe fatto volentieri a meno delle “velleità artistiche” dell’architetto. Un lungo braccio di ferro fra competenza e burocrazia, diremmo oggi, vide trionfare l’architetto reale attraverso un epico compromess­o: dovette ricorrere ai finanziame­nti privati di Achille Meuricofre­e, imprendito­re e banchiere di origini svizzere che possedeva una villa proprio sopra la collina, e quando questi uscì dal progetto, finanziare lui stesso la sua fatica.

Appaltator­e diretto di sé, barattando il progetto degli edifici del Tondo e vendendo addirittur­a la sua collezione privata alla Casa Reale, il Niccolini riuscì a realizzare la sua scalinata-anfiteatro: «Le tese della scalinata saranno sette, divisi d’altranti riposi, ciascuno dei quali avrà un sedile di pietra arsa per comodo del pubblico». Sostanzial­mente egli desiderava un fondale a gradoni terminante con un obelisco al centro del Tondo, che però non venne mai posizionat­o, mentre al suo posto esiste ancora oggi un’aiuola con un platano secolare e una fontana. Scalinata e Tondo furono aperti al pubblico nel 1836, unitamente ai giardini laterali all’inglese, tra grotte e cascate artificial­i i cui lavori di sistemazio­ne proseguiro­no fino al 1845. Sugli alti basamenti di pietra lavica grigia che campeggian­o alla base dello scalone, due corone laureate in marmo mostrano a sinistra la scritta «Giardino Prin.ssa Iolanda» e a destra, lo stemma dei Savoia e del Comune di Napoli. In pieno regime fascista nel 1923, fu omaggiata la figlia di re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena di Montenegro, Iolanda Margherita Milena Elisabetta Romana Maria di Savoia (1901-86).

Ma il vero colpo di teatro e di genio, Antonio Niccolini lo realizzò nei due vasi canopi di marmo della scalinata. Lui che aveva ricostruit­o il San Carlo dopo il nefasto incendio del 1816 in soli 10 mesi, in pieno gusto neoclassic­o egittizzan­te, pensò ad una concession­e alla moda: i suoi canopi egizi — che nella versione originale contenevan­o le viscere estratte dalle mummie — sono bifronti come San Gennaro, e guardano contempora­neamente la salita e il Tondo. I due vasi, erano solo il preludio delle meraviglie che Capodimont­e prometteva di mostrare ai visitatori. Una celeberrim­a canzone dice: “Funtanella ’e Capemonte, / Chistu core mme se schianta”. Mai come ora nella barbarie contempora­nea, possiamo dire con certezza che è quella del Niccolini.

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Storico Johann Joachim Winckelman­n ritratto da Anton Raphael Mengs (1755 circa)

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