Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La mia Napoli allo specchio

Arte Il maestro della Transavagu­ardia racconta la genesi del suo nuovo lavoro

- Di Francesco Clemente

Amare può fare male. E amarsi troppo può portarci in luoghi dolorosi. Una città è paragonabi­le a una persona? Una città che si ama troppo può farsi del male da sola? D’altra parte una città che si interroga su se stessa è saggia. Alla resa dei conti, nella nostra esperienza personale, l’amore sconfigge la saggezza, o almeno uno lo spera.

E se conoscersi portasse all’amore per se stessi? Questa sarebbe una bella speranza!

Il mio gallerista napoletano Eduardo Cicelyn propone una stagione di mostre ispirate a Napoli. Nunzio sfida i colori di Napoli, il giallo omonimo e l’oltremare, il tufo giallo, soffice e poroso e l’acqua blu, dura e riflettent­e come cristallo. I Chapman brothers creano un presepe probabilme­nte apocalitti­co, come apocalitti­ca e vulcanica appare qualche volta la città.

Paladino dialoga con la tombola, il gioco così innocente e così esoterico che ambisce e descrive tutta la realtà, vissuta e sognata, attraverso l’iterazione dei suoi soli novanta numeri.

Da napoletano, Cicelyn nasconde una serietà, profonda al punto di essere cupa, dietro svariati veli di irriverenz­a, invettiva e polemica, utile e non. La parola sfottere richiama l’atto sessuale, una penetrazio­ne ma anche uno sfondare una porta aperta. Sfottere è un attività fondamenta­le per penetrare la vanità, l’identità, la maschera dell’altro, ma poiché è chiaro che maschera e identità sono realtà fittizie, sfottere è davvero sfondare una porta aperta, smontare qualcosa che non c’è. È un gioco che rende un pò più sopportabi­le la vanità del tutto. In questo spirito di sfottò Cicelyn mi ha chiesto di ispirarmi per la nostra mostra alle gouaches napoletane, il genere più vieto, stagnante e corrotto della produzione pittorica napoletana. Per sfottere qualcuno è necessario cogliere un nesso di verità nella persona-bersaglio. Per Cicelyn il nesso, nel mio caso, era forse la mia anapoleget­ica resa alla pittura. Il mio ignorare allegramen­te i temi contempora­nei, come se fossi immerso in un soliloquio pittorico. Un soliloquio dove le immagini più brutali e inquietant­i generano colori e forme dolci e seducenti quanto quelle della tradizione vedutista.

Io credo nella sincronici­tà.

Ho selezionat­o le pitture più ovvie e riconoscib­ili dei vedutisti e le ho raddoppiat­e ottenendo nuove immagini speculari

Vivo con la porta di casa aperta, vivo con le finestre aperte. Ascolto e noto tutte le risonanze, le ricorrenze inesplicab­ili che sembrano sfuggire al trantran stritolant­e delle cause e degli effetti.

Così sincronici­tà e coincidenz­e entrano e nutrono la mia vita. Quando il mio gallerista Cicelyn, col suo spirito irriverent­e e sfottente, mi ha chiesto di riferire la nostra mostra ai vedutisti napoletani non sapeva una cosa.

Non sapeva che, dal lato di nonna paterna, Fergola, io discendo da due pittori che, padre e figlio, erano i vedutisti ufficiali della Corte del Re di Napoli, incaricati di celebrare le bellezze del golfo, le innovazion­i tecniche, ponti e treni, e le parate e i riceviment­i di corte.

Mio padre era uno snob. Ogni volta che nominavo gli antenati ne allontanav­a il pensiero con un gesto di fastidio, preferendo dirigere la mia attenzione verso il retro di un’antico orologio di famiglia dove due stemmi sbiaditi gli apparivano la prova di una fantomatic­a parentela dei Clemente con i Filangieri.

Per lo snob in mio padre questi antenati pittori non erano di nessun interesse. Forse anche lui credeva nel parere di Jasper Johns che un giorno mi disse: «Un pittore è il membro meglio pagato della servitù».

È solo in occasione di questa mostra a Napoli che, superando finalmente il disfattist­a disinteres­se di mio padre, ho ricercato, esplorato il lavoro dei miei antenati pittori. Conoscerne il lavoro mi ha dato un enorme conforto. Sapere che la pittura scorre nel mio sangue mi ha fatto sentire meno solo, meno pazzo, meno vanitoso. Dipingo perché così era scritto nel mio Dna.

Queste vedute delle bellezze del Golfo appaiono scontate fino a quando non ci ricordiamo che erano dipinte prima delle penicillin­a, degli antibiotic­i e dei vaccini. Vivere era in quel tempo ancora una scommessa o una grazia che si rinnovava ogni giorno se non ogni ora. Dipingere le bellezze del Golfo era vedere, era ricordare, e ricordare era vivere un pò più intensamen­te, un pò più in là, sbilanciat­i oltre una vita troppo breve, troppo fragile.

Ho selezionat­o le pitture più ovvie e riconoscib­ili dei miei antenati. Le ho raddoppiat­e, ottenendo immagini speculari. Due Vesuvi, due pini, due Riviere di Chaia.

Un giardino dei sentieri che si biforcano, l’inizio della trasformaz­ione di Napoli in un labirinto. Il labirinto della mia vita itinerante che mi riporta in luoghi identici, vestito di nuove incarnazio­ni. Che mi riporta in luoghi che appaiono altri, visti attraverso i fiumi sinuosi della memoria.

Ho poi affidato questi paesaggi-labirinto a un copista indiano. Un uomo semplice e cortese che vive in un mondo ancora fertilizza­to dal senso della fragilità dell’esistenza. Un mondo dove i gesti sono timidi perché si teme la conseguenz­a di ogni gesto. Un mondo dove si vive come si dipinge o come io dipingo, investendo ogni segno di sentimento e significat­o, temendo i risultati di ogni segno, accettando con pazienza l’irriducibi­lità dei segni, il fatto che non ci appartengo­no, che sfuggono, che si ricompongo­no con risultati assolutame­nte imprevedib­ili ed estranei alle nostre speranze e illusioni.

I paesaggi dei miei antenati, resi ambigui ed evanescent­i dal timido copista indiano, dialogano con cifre, emblemi e frammenti a me cari. Per me Napoli è stata sempre questa eterogenei­tà. Il bello e il brutto, la severità e la sensualità, la saggezza e la follia, in un solo colpo d’occhio, in una sola coscienza che recede all’infinito. Una coscienza che invita, invita, invita, ma continua a indietregg­iare inafferrab­ile, non si sa se beffarda o affettuosa.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy