Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Si incatenano sotto casa di Di Maio
La Cassazione annulla il reintegro, deciso dalla Corte d’appello, dei 5 operai che «impiccarono» il fantoccio di Marchionne Protesta dopo il licenziamento da Fca: uno si cosparge di benzina. Il ministro gli fa visita in ospedale
La Cassazione annulla il provvedimento con cui la Corte d’appello di Napoli aveva reintegrato i 5 operai Fca che anni fa avevano «impiccato» il fantoccio di Marchionne. Appena si è diffusa la notizia gli stessi ormai ex addetti Fiat si sono incatenati nei pressi dela casa di Di Maio a Pomigliano.
NAPOLI Sono stati licenziati perché «la satira ha travalicato i limiti della dialettica sindacale, sfociando in riferimenti volgari e infamanti che hanno superato i limiti del diritto di critica (previsto dall’articolo 21 della Costituzione) e della tutela della persona umana». Da ieri i cinque operai della Fca di Pomigliano d’Arco, che il 5 giugno 2014 esposero davanti al polo logistico di Nola un fantoccio impiccato a un patibolo raffigurante il volto dell’amministratore delegato del gruppo Sergio Marchionne, sono di nuovo senza lavoro.
E la sentenza porta la firma dei giudici della sezione lavoro della Corte di Cassazione che ha annullato la decisione della Corte di Appello di Napoli la quale nel 2016 li aveva reintegrati. Gli operai sono Mimmo Mignano, Marco Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore. «È una decisione politica, in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione. Un chiaro segnale contro gli operai. Noi dopo il reintegro abbiamo regolarmente percepito lo stipendio ma Fca non ci ha mai fatto lavorare», hanno detto gli operai che hanno organizzato una protesta a Pomigliano davanti all’abitazione della famiglia del vicepresidente del Consiglio e ministro del Lavoro, Luigi Di Maio.
La sentenza della Corte di Cassazione è arrivata proprio mentre al ministero del Lavoro l’azienda e i sindacati stavano firmando l’accordo sulla cassa integrazione di 4.500 operai dello stabilimento di Pomigliano e del polo logistico di Nola. Una misura necessaria (rotazione per 15 mesi) per consentire l’avvio dei lavori di ristrutturazione in vista della produzione dei modelli Premium annunciati il 1 giugno scorso da Marchionne con il piano industriale. A Pomigliano fino al 2022 sarà prodotta la Panda, che sarà affiancata da uno dei nove modelli Maserati, Alfa Romeo, Jeep e Fiat definiti per l’Europa.
Perché, dunque, il licenziamento? Secondo la Cassazione «le modalità espressive della critica manifestata dai lavoratori hanno travalicato i limiti di rispetto della democratica convivenza civile, mediante offese gratuite, spostando una dialettica sindacale, anche aspra» su «un piano di non ritorno che evoca uno scontro violento e sanguinario», con «un comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro». La sezione lavoro della Cassazione ha poi ricordato che la libertà dell’attività sindacale non può travalicare i limiti del cosiddetto «minimo etico». E ravvisando un errore di diritto nella decisione d’appello, ha confermato nel merito i licenziamenti. Per i giudici «la rappresentazione scenica (il patibolo, il manichino impiccato con le foto dell’amministratore delegato, lo scritto affisso al palo a mo’ di testamento, le tute macchiate di vernice rossa a mo’ di sangue) hanno esposto il destinatario al pubblico dileggio».
Il 5 giugno 2014 gli operai inscenarono provocatoriamente il funerale di Marchionne per protestare contro i suicidi di due addetti del polo logistico di Nola. L’azienda fece scattare i licenziamenti, confermati dal Tribunale di Nola. Nel settembre 2016 la Corte di Appello di Napoli ribaltò la sentenza, reintegrando i cinque operai. Ieri il colpo di scena in Cassazione.
La decisione
Per quindici mesi scatterà a rotazione la cassa integrazione per 4.500 addetti