Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Capri, sigilli al Nettuno
Sequestrato il resort sopra la Grotta Azzurra
CAPRI Sigilli al Nettuno, l’ex beach club affacciato sulla Grotta Azzurra trasformato in un resort di lusso (mai aperto). Ieri mattina, i finanzieri della Tenenza di Capri e gli uomini della Guardia Costiera in servizio sull’isola hanno messo sotto sequestro preventivo il complesso balneare anacaprese per ordine del Gip del Tribunale di Napoli su richiesta della Procura della Repubblica.
Sono 17 gli indagati: il proprietario del lido, i direttori dei lavori, i dirigenti e alcuni funzionari dell’ufficio tecnico del Comune di Anacapri e della Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici ed Artistici di Napoli e Provincia. E, ancora, i membri della commissione locale per il paesaggio e della commissione edilizia del comune “di sopra” che hanno fornito parere positivo alla ristrutturazione e alla riqualificazione di un lido balneare trasformato in un resort in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico e archeologico. Abuso d’ufficio, falso, violazioni in materia edilizia e violazione al codice della navigazione, tra i reati principali contestati per fatti risalenti a qualche anno fa. I lavori di ristrutturazione e riqualificazione del Nettuno di proprietà della famiglia Perrella, infatti, erano stati autorizzati nel novembre 2014 e sono terminati nel marzo 2016, dopo alcuni stop durati un paio di mesi, altrettanti esposti di Legambiente e Italia Nostra e diversi sopralluoghi delle forze dell’ordine per accertare la legittimità degli interventi che avevano destato tantissimo scalpore tra isolani e vacanzieri. Dopo lunghe indagini, coordinate dalla quinta sezione Reati Ambientali della Procura della Repubblica, è venuto fuori che i permessi a costruire e le autorizzazioni paesaggistiche erano illegittime perché in palese violazione della normativa urbanistica e paesaggistico-ambientale, nonché in contrasto con i vincoli previsti per l’area ove sorge la struttura.
Tutta la superficie occupata dal Nettuno che sovrasta la Grotta Azzurra, in località Gradola, è infatti sottoposta a vincolo ambientale come territorio costiero ed è dichiarata di notevole interesse pubblico. E non solo. Come avevano denunciato più volte ambientalisti e associazioni, l’ex stabilimento Nettuno si trova in un’area sottoposta a vincolo idrogeologico ed archeologico, a confine con gli scavi della villa di epoca romana nota come “Gradelle”, nonché situato in una zona classificata «a protezione integrale» come detta il Piano Territoriale Paesistico dell’isola di Capri. Gode, infine, anche della protezione speciale con direttiva europea ed è inserita nella Rete Natura 2000. Risultava, dunque, quantomeno paradossale la concessione per la realizzazione di una serie di interventi sotto gli occhi di tutti, nell’estate 2015, quando le strutture esistenti – già oggetto di condono - sono state demolite ed il volume ricostruito all’interno della stessa particella immobiliare, come prevedeva il decreto legge «del fare». Interventi che, oltre a modificare completamente lo skyline del tratto di costa sovrastante la famosa Grotta Azzurra, hanno portato al cambio di destinazione d’uso non consentito del complesso che oggi di fatto vanta alcune suite ed una dependance a picco sul mare, diventando una struttura ricettiva in una posizione assolutamente invidiabile. Gli inquirenti hanno, inoltre, appurato che la discesa a mare del beach club occupava abusivamente quasi 40 metri quadri di demanio marittimo ed è stato anche riscontrato il mancato rilascio delle prescritte autorizzazioni ai sensi dell’art. 55 del Codice della Navigazione per le nuove opere a ridosso della fascia costiera.
Entro 7 giorni il resort abusivo dovrà essere sgomberato da persone e beni materiali. Intanto la notizia in piazzetta corre veloce e gli isolani chiedono il ripristino dei luoghi supportati dagli ambientalisti che denunciarono il caso. «Di fronte ad abusi come quelli che sarebbero stati commessi nel lido non ci sono alternative all’eliminazione degli stessi abusi e alla condanna di chi li ha commessi e permessi – ha detto il consigliere regionale dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli - Di fronte ad abusi chiaramente speculativi che distruggono o deturpano panorami di eccezionale bellezza non bisogna fare altro che ripristinare lo stato dei luoghi richiedendone le spese a chi li ha commessi. Quest’ennesimo episodio dimostra che l’abusivismo di necessità è una giustificazione che non ha fondamento in molti casi e che viene utilizzata dagli speculatori come alibi per depredare e cementificare il territorio».