Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Terrae Motus, intervenga il ministro Bonisoli
Dopo il furto, serve una mobilitazione per salvare le opere dalla precarietà
L’allestimento «temporaneo» ha dimostrato le sue pecche. Il neoministro Bonisoli intervenga
Era inevitabile che accadesse. Ed è accaduto. Sembra quasi l’epilogo di una storia iniziata male. Nel giugno 2016, il direttore della Reggia di Caserta Mauro Felicori decide di riallestire «Terrae Motus» - la più ampia e importante collezione d’arte contemporanea “a tema” del secondo Novecento - negli inadeguati appartamenti occupati fino a poco prima dall’areonautica e dalla scuola della pubblica amministrazione.
Una “materia” delicata, che avrebbe richiesto studio, rigore, serietà. Sarebbe stato opportuno nominare un curatorestorico dell’arte di rilievo internazionale, affiancato da un prestigioso comitato scientifico (dal valore operativo e non esornativo) composto dagli eredi del grande gallerista Lucio Amelio, dai critici e dagli artisti a lui più vicini. Inoltre, sarebbe stato necessario coinvolgere un team di restauratori, per intervenire su alcune opere di quella straordinaria collezione. Perchè il riallestimento di una raccolta è sempre una meravigliosa opportunità per interrogarsi di nuovo - in una prospettiva inedita - sul valore critico e culturale di un determinato patrimonio, suggerendo originali sentieri interpretativi. È quel che sa ogni storico dell’arte.
E invece? Ecco: Felicori — che non è uno storico dell’arte — ha scelto la strada più breve. In pochi mesi ha inaugurato la mostra. «Mauro fa’ presto», potremmo chiamarlo riecheggiando il soprannome che era stato assegnato a Luca Giordano. Il vitalistico Felicori ha scelto di non confrontarsi con nessuno. Meglio procedere senza dialogare con i testimoni di quella coraggiosa avventura poetica. Meglio andare di fretta. I critici d’arte? Gli eredi? Gli artisti-compagni di strada? Presenze inutili. Le quali avrebbero potuto solo rallentare la smania di “fare” del direttore emiliano, che ha incarnato nel miglior modo possibile la filosofia sottesa alla riforma-Franceschini, attenta soprattutto alla valorizzazione e al culto degli eventi e non sempre sensibile alle questioni della tutela e della conservazione.
È accaduto così che «Terrae Motus» è stata allestita in maniera sciatta, come ho già sottolineato mesi fa su queste colonne: le opere appoggiate su improvvisate impalcature di legno, installazioni sistemate su pavimenti simili a quelli che troviamo in tante case popolari degli anni settanta, illuminazione da ristorante di provincia, finanche alcune didascalie corrette a mano. Mai visto niente di simile. Serve un certo talento per raggiungere tali vette di bruttezza. Ci vuole coraggio (per non dire altro) nel trattare Warhol, Twombly o Haring come artisti dilettanti esposti in sale non troppo diverse da quelle di una proloco.
Il fallimento di questa operazione è confermata dall’indifferenza della critica nazionale. Intorno a questo riallestimento, colpevole l’assordante silenzio di larga parte della classe colta napoletana (e non solo).
Ovviamente, Felicori — per difendersi dalle prevedibili critiche — ha più volte sostenuto che si è trattato solo di un «allestimento-cantiere-progetto».
Un allestimento-cantiere-progetto — da quanto si è appreso — non provvisto di telecamere. Dunque, un’occasione ideale per compiere furti o gesti di vandalismo: senza paura di essere scoperti. È quel che è accaduto sabato, quando sono state trafugate, durante l’apertura serale della Reggia, parti dell’installazione «Ex voto» di Christian Boltanski, in cui sono rappresentate un uomo, una donna, un cuore, una gamba, una mano e una testa di uomo. Da ieri a questa struggente composizione sono state “sottratte” due piccole figure.
Difficile immaginare che sia stato un furto: quelle “reliquie” non potranno essere agevolmente vendute. Quindi, uno sfregio? Un gioco? Un atto vandalico? Forse, l’esito inevitabile di scelte sbagliate, di un’incuria inaccettabile. Ma forse anche una “reazione” della stessa collezione di Amelio, che sembra essersi quasi ribellata a chi l’ha presentata senza cura, senza rispetto.
E ora? Sarebbe opportuno che il neoministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli facesse sentire la propria voce, pronunciandosi su questo grave episodio. Perché «Terrae Motus» appartiene alla Reggia, ma appartiene soprattutto all’Italia. E ha bisogno di funzionari-conservatori-storici dell’arte preparati e competenti, capaci di conoscere e di difendere — e poi di promuovere — il patrimonio che si trovano a gestire, sottraendosi ai falsi miti dell’intrattenimento e delle feste con visitatori-barbari seduti a cavalcioni su leoni statuari.
L’auspicio è che fatti come quello di ieri servano da lezione. Ci piacerebbe che, intorno a «Terrae Motus», nascesse ora un’autentica e diffusa mobilitazione intellettuale regionale e nazionale. Perché quella collezione — che parla di noi, della nostra città, del nostro essere condannati a una perenne precarietà, a una costante instabilità — “chiede” di essere inserita in un sistema museale e formativo plurale e complesso, di cui facciano parte, insieme con la Reggia, Capodimonte, il Madre, l’Università «Federico II», l’Accademia di Belle Arti.
Rievocando il titolo dell’opera di Warhol ispirata al sisma del 1980, ci sentiamo di dire: «Fate presto».
Lavori
Sarebbe stato opportuno nominare un curatore-storico dell’arte di rilievo internazionale e un comitato scientifico