Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cadavere a Posillipo, indaga Ricciardi
Anticipazione del romanzo Un prete ucciso a Posillipo È maggio e il commissario...
Nelle librerie da oggi «Il purgatorio dell’angelo. Confessioni per il commissario Ricciardi» (Einaudi, 316 pagine, 19 euro) nuovo titolo della seguitissima saga di Maurizio de Giovanni. Per gentile concessione dell’editore e dell’autore pubblichiamo in anteprima uno stralcio dal primo capitolo. Il romanzo sarà presentato il 2 luglio prossimo, alle 19, al Teatro Augusteo (in piazzetta Duca d’Aosta) di Napoli con l’accompagnamento musicale di Marco Zurzolo e Davide Costagliola.
Tommaso amava l’alba. Non avrebbe saputo spiegarlo bene, faceva il pescatore e si limitava a esprimere concetti semplici e diretti. I pescatori, è noto, parlano poco e, a meno di essere come Carmeluzzo di San Giovanni, che tutti sfottevano chiamandolo ’o Poeta, sia perché cantava sempre sia perché si divertiva a parlare difficile, dicono solo ciò che è necessario, e solo se non possono farne a meno: se parli mentre sei in barca, i pesci non si sentono considerati e vanno via. I pesci vogliono attenzione.
Nessuno perciò sapeva quanto a Tommaso piacesse, tra tutti, quel momento. Gli piaceva più di quando, in piena notte, si percepiva l’odore del sale e si intuiva il mare dal rumore, una distesa nera che divora e respira come un animale enorme. Più di quando sorgeva la luna nuova, o di quando era piena e faceva male agli occhi per la luce che dava, e rubava l’anima mischiandosi alle canzoni che provenivano dalla terraferma. Più di quando l’aria calda del giorno lasciava il posto alla brezza del Nord e la pelle si apriva per riceverne ristoro.
Più di tutto il resto, a Tommaso piaceva l’alba, l’istante in cui la luce che non c’era all’improvviso mostrava il contorno della montagna, e ancora la notte resisteva dietro a quello schermo a due punte e la colonna di fumo lontana si distingueva a stento. Sarebbe stato spontaneo guardare da quella parte per cogliere l’attimo preciso in cui ormai era chiaro che il giorno era arrivato, onore al sole, benvenuto mio re, è finita, o quasi, la nottata di pesca. Invece, Tommaso all’alba dava le spalle e ne osservava gli effetti, le scaglie di mare luccicanti come squame di pesce, ognuna che rifletteva il proprio raggio frantumandosi in mille pezzetti. Fosse stato Carmeluzzo ’o Poeta avrebbe detto di chissà quali occhi celesti o forme morbide che venivano alla mente, ma Tommaso vedeva solo l’acqua che prendeva la luce nuova e se ne appropriava, abbracciandola tante volte nella stessa maniera, un raggio per ogni goccia.
E se avesse voluto parlarne e non fosse stato un pescatore, giacché si sa, i pescatori parlano poco, avrebbe detto che si sentiva tremare in corpo la bellezza, ricordandosi a ogni alba quant’era bello andare per mare, e quanto un momento così ti faceva dimenticare la terribile fatica e il pericolo di non tornare, se il mostro che respira decide di inghiottire barche e reti e uomini, di riprendersi in un solo colpo d’onda tutto quello che è suo.
Per questo motivo, perché era segretamente innamorato dell’alba e, anche se non avrebbe saputo spiegarlo, gli piaceva ascoltare quel tremito del cuore, Tommaso teneva gli occhi sulla terra che emergeva dalla notte, invece che sulla montagna dietro di lui, o meglio ancora sulla rete che andava stesa per un’altra immersione. Fu quindi il primo a scorgere, sulla lingua di tufo sotto la villa bianca, una macchia scura che sembrava un grosso insetto.
Tommaso aguzzò lo sguardo; la luce dell’alba, che sapeva quanto il pescatore l’amasse, gli regalò un raggio speciale perché vedesse meglio.
E Tommaso si mise a remare verso la spiaggia. ***
I due ragazzi si incontrarono nel luogo convenuto, su via San Sebastiano, a un centinaio di metri dall’ingresso del convitto. Il posto era stato scelto con cura, perché lì nessuno li avrebbe visti e avrebbero potuto pianificare in pace una strategia.
Faceva già caldo, anche se era mattina presto e mancava quasi mezz’ora per la campanella e la preghiera.
Stava arrivando l’estate, facendosi largo con prepotenza in mezzo alla primavera, e tra poco sarebbe stato ancora più difficile rimanere seduti con la testa nel greco antico mentre fuori i fortunati scugnizzi ignoranti, con la pelle come il cuoio, conciata dal sole, avrebbero preso a saltare nell’acqua dagli scogli del lungomare, sprezzanti dei fischi delle guardie, tra le risate delle ragazze a passeggio con l’ombrellino. Stava arrivando l’estate, e qualcuno si sarebbe messo a fissare il cielo e le rondini dalla finestra aperta, guadagnandosi lo scappellotto del professore di turno, giunto di soppiatto alle sue spalle nel complice, perfido silenzio dei compagni. Stava arrivando l’estate, e gli ambulanti, con incomprensibili, modulati strilli, avrebbero declamato la bontà della propria merce, mentre signore dal seno generoso si affacciavano dalle ringhiere mostrando la scollatura e agitando i sonni e le mani dei convittori nelle calde notti che precedevano gli esami.
I due ragazzi, però, non dovevano parlare di ambulanti e scogli da cui tuffarsi. Avevano qualcosa di importante da decidere e non potevano concedersi distrazioni.
Erano coetanei, solo un paio di mesi di differenza, ma non avrebbero potuto essere più diversi. Uno era alto, allampanato, la carnagione bianca come il latte, gli occhi azzurri e i sottili capelli biondi che uscivano a ciuffi dal cappello blu col cordone. Il secondo era più basso, olivastro, le pupille nere che si muovevano inquiete sotto le sopracciglia aggrondate, il ventre prominente che metteva a dura prova la tenuta dei bottoni d’oro della giubba. Entrambi avevano le ginocchia sbucciate e più volte cicatrizzate, e a ben osservare anche le divise erano tutt’altro che inappuntabili: al più alto penzolava un bottone, mentre i pantaloni corti del più basso erano scuciti sul davanti. Durante l’ispezione, che avrebbero subito di lì a un’ora, le imperfezioni sarebbero state di certo rimarcate, ma siccome la condizione sarebbe stata la stessa per almeno un’altra dozzina di studenti, se la sarebbero cavata con un semplice richiamo.
E infatti non era quella la principale preoccupazione dei due.
Il più alto disse:
– È l’unica possibilità, te lo ripeto. Non posso permettermi un altro brutto voto. Sarebbe la rovina, capisci? La rovina!
Quello grassoccio sporse la testa dall’intercapedine tra i due palazzi in cui si erano nascosti, nervoso.
– Ma la vuoi abbassare, ’sta voce? Ti rendi conto che se ci scoprono qua… E poi è una pazzia, una maledetta pazzia.
Hai pensato a cosa rischiamo, sì? Agli effetti che…
Ci dev’essere una maniera per evitare…
Il biondo cambiò espressione, diventando beffardo.
– Ecco, lo sapevo, sei un vigliacco. Fai tanti discorsi: il coraggio del soldato, il fronte, lo sprezzo del pericolo…
Tutte bugie, appena si arriva al dunque…
Il ragazzo grasso spalancò occhi e bocca in una protesta vibrata.
– Io? E allora chi ha messo il pomodoro sulla sedia del professore Criscuolo?
L’altro sbuffò. – Metterlo era il meno. A schiacciarlo fummo io e Laurita; era quella la parte difficile. E quando punirono tutti noi, fosti tu a frignare.
– Perché per voi interni la punizione finisce lì, mentre per quelli come me, a casa ci aspetta il resto, ci aspetta! È facile fare i forti, quando non si deve rispondere a…
”
Tommaso amava l’alba Non avrebbe saputo spiegarlo bene, faceva il pescatore e si limitava a esprimere concetti semplici e diretti
”
Fu quindi il primo a scorgere, sulla lingua di tufo sotto la villa bianca, una macchia scura che sembrava un grosso insetto