Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La doppia disfatta dei democratici a Castellammare
Mancando, da tempo, sedi ufficiali, la discussione sul declino della sinistra (o del centrosinistra) è in pieno svolgimento su giornali e social: meglio questo che niente. Galli della Loggia è andato, è il caso di dire, «oltre» e ha addirittura pubblicato il decalogo, quasi uno statuto, del nuovo partito. Altri, per esempio Francesco Nicodemo, reduce della Sinistra Giovanile, spera che la prossima pizza da Sorbillo produca qualche idea più concreta per riprendere il cammino o iniziarne uno nuovo.
Poi c’è Gennaro Migliore, intervistato da Paolo Cuozzo, che, a dir poco arrabbiato per la sconfitta del suo candidato a sindaco di Castellammare per il quale si è speso anche con visite notturne, giudica molto grave quello che è successo in quella città nel ballottaggio e non si chiede se non sia avvenuto qualcosa di altrettanto se non più grave nel primo turno.
Il Pd, di cui Migliore è autorevole dirigente, ex sottosegretario alla giustizia e volto televisivo ufficiale del partito, si è presentato agli elettori con due coalizioni: quella variegata di cinque liste che sosteneva Massimo de Angelis di provenienza Forza Italia e quella più nutrita e composita di otto liste di Andrea Di Martino, non so se ancora tessera Pd, ex vice sindaco della giunta di centrosinistra, nonché braccio destro di Migliore. Come è noto, il Pd ufficiale è stato bocciato al primo turno e non è andato al secondo per un centinaio di voti, mentre il Pd non ufficiale (se l’aggettivo è inappropriato o malizioso potrebbe chiarirlo lo stesso Migliore) si è giocato anche il secondo tempo della partita. Non ce l’ha fatta non perché sono mancati i voti di Liberi e Uguali, che di partita ne giocava un’altra, ma perché il Pd ha dato l’indicazione di non votare Di Martino al ballottaggio. Numeri alla mano, quelli del primo turno dicono chiaramente che con una diversa indicazione di voto il candidato del centrodestra, ex segretario del Pd, oggi non sarebbe il nuovo sindaco di Castellammare. E sempre numeri alla mano, se il Pd non avesse avuto due coalizioni in campo ma una sola, questa, con un piccolo sforzo, poteva perfino farcela in prima battuta.
So che questa affermazione farà storcere il naso ai dirigenti del Pd «ufficiale» e del segretario cittadino dimissionario Nicola Corrado, ma è Migliore che la rende in qualche modo fondata. Dovrebbe, infatti, spiegare come mai non ha consigliato al suo compagno fidatissimo di non scegliere la linea delle liste civiche e semmai di giocarsela nel partito, e poi, in caso di mancato risultato, di comportarsi alla vecchia maniera di accettare il responso della maggioranza interna e di concorrere disciplinatamente alla vittoria del partito. Mi rendo conto che sto parlando di una regola, il centralismo democratico, del vecchio Pci da cui, sia come sia, deriva il Pd. Regola che Migliore conosce benissimo anche perché lui per arrivare al Pd ha fatto un lungo tragitto.
Nel giugno 2014, invitato dall’ex sindaco Salvatore Vozza, andai a Castellammare a un dibattito di Sel. C’era Migliore, capogruppo alla camera di Sel. Questi tuonò contro il governo Renzi e invitò i compagni alla mobilitazione per impedirne le politiche, mi pare di ricordare, pericolose se non scellerate. Un discorso appassionato, molto cuore e tanto ragionamento. Devo dire che, pur avendone viste tante, dopo qualche settimana rimasi basito quando appresi che era passato al Pd (e con lui Andrea Di Martino, che per qualche anno era stato mandato come commissario di Sel in Calabria).
Ho ricordato questi fatti non perché sia interessato ai cambiamenti di Migliore o di altri, ma perché trovo singolare che in una disfatta, come quella di Castellammare, un dirigente nazionale del Pd, che non è estraneo alla decisione di Di Martino di concorrere con liste civiche fuori dal Pd per il governo di Castellammare, dica al Pd, al suo partito, che ha sbagliato a chiamarsi fuori dal ballottaggio. E lo dice ora. Perché non ha parlato con i suoi e pubblicamente una settimana prima del voto? E, soprattutto, perché non ha operato per impedire che il centrosinistra, o quel che ne resta, si presentasse agli elettori spaccato e diviso da accuse, odi e rancori?
Si sa che le disfatte da un capo all’altro della penisola sono tante e che è arduo stenderne una classifica per dimensioni e valore, e quelle di casa nostra non sono da meno. Il malessere viene da lontano se solo si vuol pensare a quanto accadde nelle elezioni comunali di Napoli che portarono alla riconferma di de Magistris. Pur tuttavia, quello di Castellammare è un caso da manuale. E anche il suo record, appena il 35 per cento di votanti. I due terzi degli stabiesi si sono chiamati fuori per tanti motivi, non ultimo la nausea.