Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Alla legalità servono più carabinieri che assessori
Con nostra grande soddisfazione - perché questo giornale lo sostiene da anni - la Corte Costituzionale ha appena ribadito un principio facile da capire per tutti tranne che per il governatore della Puglia Emiliano: un magistrato, anche se in aspettativa, non può fare politica. Nel senso che non può essere iscritto a un partito, far parte dei suoi organi dirigenti, propagandarne il messaggio. Michele Emiliano invece ha fatto e fa tutto questo. Da ultimo partecipando addirittura alle primarie per la scelta dal leader nazionale del Pd. Se le avesse vinte, avremmo oggi un magistrato che fa il segretario del secondo partito italiano. Cosa che la legge esclude (ordinamento giudiziario del 2006), e anzi è motivo di illecito disciplinare.
Il governatore pugliese ha tentato di eccepire l’illegittimità costituzionale di questa norma rivendicando al magistrato gli stessi diritti degli altri cittadini. Ma la Consulta ha dato torto al suo ricorso. Anche un magistrato evidentemente può essere eletto. Ma, proprio perché rappresenta lo Stato e dispone della sua forza coercitiva, «indipendenza e autonomia» non sono soltanto suoi diritti, sono anche doveri, e dunque non può fare della partigianeria politica il suo mestiere.
La Consulta aveva detto la stessa cosa a proposito di Luigi Bobbio, l’ex sindaco di Castellammare che
aveva accettato la presidenza provinciale di An. Di quella sentenza Gianrico Carofiglio, altro magistrato pugliese andato in Parlamento, prese atto restituendo la tessera del Pd. Emiliano invece no.
Emiliano resiste. Non vuole uscire dai ranghi della magistratura sebbene faccia ormai da quindici anni il politico a tempo pieno. Vedremo se la nuova maggioranza giallo-verde e il nuovo ministro della Giustizia Bonafede saranno in grado di approvare finalmente una legge per la separazione delle carriere dei magistrati dalla politica. Il via vai tra aule di giustizia e assemblee elettive reca infatti grave danno alla credibilità e alla terzietà dell’ordine giudiziario. Ormai, per colpa di pochi, è diventata un’abitudine per gli imputati accusare i giudici di agire per motivi politici, come sta avvenendo in questi giorni nel caso della Lega.
Anche il Csm ha ormai capito che occorre mettere fine a questa abitudine, e invoca una legge.
Ci domandiamo però perché analoga indignazione non abbia provocato la notizia che il maggiore dei Carabinieri Gianpaolo Scafarto, oggi sotto inchiesta per falso, rivelazione d’atti di ufficio e depistaggio per il modo in cui condusse le indagini sul caso Consip, starebbe per diventare assessore alla Legalità nella giunta forzista di Castellammare di Stabia.
Scafarto è stato accusato da Renzi di aver manipolato l’inchiesta per colpire l’allora presidente del Consiglio. Il Pd ha gridato al «golpe», agitando gli stessi sospetti sull’azione giudiziaria che respingeva con sdegno quando era Berlusconi a lamentarsi delle inchieste. Non riapriremo certo qui il dibattito sul caso Consip e auguriamo sinceramente al maggiore Scafarto di essere presto prosciolto dalle accuse. Tra pochi giorni la Procura di Roma dovrebbe chiudere le indagini e allora sapremo se ne chiederà il rinvio a giudizio. Forse il sindaco di Castellammare dovrebbe almeno aspettare quel momento prima di nominare il suo assessore.
Ma dalla politica non ci si può attendere molto in termini di rigore e serietà. Ci domandiamo piuttosto che immagine dà dell’Arma un ufficiale che, oggetto di tali polemiche e con questa esposizione mediatica, passi a militare nelle file della parte avversa al partito su cui ha indagato.
In un’intervista al Mattino il maggiore si è difeso dicendo: «Non ho indagato con scopi politici». E noi gli vorremmo credere. Ma se un attimo dopo l’inchiesta accetta da un sindaco di centrodestra una carica neanche elettiva, come si fa a non sospettare che l’inchiesta gli abbia invece aperto le porte di una carriera pubblica? E come fa un maggiore dell’Arma in servizio (al Comando della Legione Campania) ad avere il tempo libero e la serenità per fare l’assessore di un grande comune come Castellammare? «Se l’impegno fosse molto assorbente — ha risposto — potrei anche valutare l’ipotesi di mettermi in aspettativa». Se invece non è assorbente, la mattina farà il carabiniere e la sera l’assessore.
Io non ho mai ben capito che cosa facciano questi assessori alla legalità che spuntano come funghi nei comuni meridionali, oltre a dare una riverniciata a politici e a giunte che con la legalità hanno evidenti problemi. Non dispongono neanche del corpo dei vigili urbani, in testa a un altro assessore. Ma, in ogni caso, come fa Scafarto a dire che «l’esperienza fatta come carabiniere nella zona potrà essere utile»? Non vede che è proprio qui la commistione tra le funzioni di servitore dello Stato e quelle di servitore di una parte politica?
Dice il maggiore che «non bisogna aver paura dei carabinieri, fanno solo il loro lavoro». Più che giusto. Continui allora a fare il suo lavoro. Dalle nostre parti abbiamo più bisogno di carabinieri che di assessori.