Corriere del Mezzogiorno (Campania)
GOVERNO «BICEFALO» SUL SUD
Il decreto Dignità ha segnato in modo marcato il primo vero scontro sotterraneo tra i due partner di Governo. Di Maio l’ha fortemente voluto per intestarsi visibilmente una strategia politica in difesa del precariato e contro l’incertezza, soprattutto giovanile, del futuro lavorativo. Il vicepremier dei 5 Stelle è stato furbo, ha capito che il Reddito di Cittadinanza è al di là da venire con le ristrettezze del bilancio pubblico ribadite senza tentennamenti in Parlamento dal ministro del Tesoro Tria. E allora ha scelto di cavalcare una misura che porta al Movimento consensi nel mondo a lui più vicino, in gran parte fatto da meridionali, dove l’occupazione è spesso un miraggio, e quando anche c’è, è a termine, senza garanzie, senza tutele di alcun tipo. Ma Salvini su questo terreno non lo segue. Guarda caso il vice premier leghista si è assentato al consiglio dei ministri che ha varato il provvedimento, non si è presentato alla conferenza stampa, incalzato sul tema ha detto che in Parlamento si potrà migliorare. Il retro pensiero del ministro dell’Interno è chiaro: rappresenta e tutela gli interessi dei piccoli imprenditori del Nord, i più ostili a una norma che ingessa le assunzioni a tempo, e punta a modificare alla Camera e al Senato questi punti, o almeno a reintrodurre i voucher, cari al mondo dei datori di lavoro.
Un primo scontato e lampante segnale che la convivenza tra due forze di governo che rappresentano legittime ma opposte istanze, l’una il Nord, l’altra il Mezzogiorno, sarebbe stata ardua fin dai primi passi, come questo giornale aveva intuito già all’indomani della formazione dell’esecutivo giallo verde.
Non è un caso se, nelle stesse ore, alle obiezioni più che fondate del Presidente dell’Inps Tito Boeri sull’indispensabilità degli immigrati regolari per alimentare le casse previdenziali, in quanto sono tra i pochi che versano contributi senza i quali il sistema pensionistico rischia di esplodere, Salvini abbia risposto attaccandolo duramente. Mentre il ministro del Lavoro lo ha difeso confermandolo nel suo ruolo per il 2019.
Anche in questo caso il motivo del contendere è sotto gli occhi di tutti: il vice premier leghista vuole che si introduca subito la modifica della legge Fornero introducendo la quota 100, costi quel che costi all’Inps. Grazie a questa norma, se fosse attuata, i lavoratori della generazione dei baby boomer, che sono quasi tutti al Nord, andrebbero subito in pensione. Di Maio nicchia, perché ai 5 Stelle interessa piuttosto introdurre una meccanismo di welfare, come il Reddito di Cittadinanza, che vale soprattutto al Sud, dove c’è la stragrande maggioranza dei poveri – il 75% di quanti hanno diritto al Reddito di Inclusione risiede nelle regioni meridionali – fatta in gran parte da giovani.
In tutto ciò il ministro delle Regioni Stefani ha messo subito in chiaro che, se si affossa l’autonomia, salta il Governo, perché per la Lega è una partita fondamentale, e ha promesso al Presidente del Veneto Luca Zaia che potrà partire subito in questa direzione: vuole dire che residui fiscali per 28 miliardi, invece di essere versati allo Stato, rientreranno nel bilancio regionale.
Che le sensibilità dei pentastellati e dei leghisti siano diverse lo si era intuito già sulla politica per l’immigrazione, col presidente della Camera Fico che ha dato voce a quanti nel Movimento non condividono la scelta dei respingimenti adottata dal ministro dell’Interno. Il fuoco cova sotto la cenere, dopo appena qualche settimana, e prima o poi inevitabilmente deflagrerà in una guerra tra i due, i cui esiti sono del tutto imprevedibili.