Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Tra Chopin, Diego e Caravaggio «In taxi per scoprire la vera Napoli»
LA STORIA VINCENZO VIVO Ex geometra, fa il driver e il cicerone per i turisti. Di recente è uscito un suo libro
Lei è napoletano verace? «Sono nato nei vicoli di Porta Nolana, faccia lei».
I napoletani, dunque,li conosce bene, anche per il mestiere che fa, ma come li definisce?
«Sono il più e il troppo di tutto. Napoli vive di eccessi, buoni e cattivi, Caravaggio e Maradona dovevano per forza vivere da papi nel nostro inferno. Li amo e li odio, ma per carità non me li toccate».
Dovesse scegliere tra i due?
«Finisce 1-1 ma a pensar bene Caravaggio ne ha combinate più di Diego. È quanto dire e poi ha superato se stesso dipingendo Maria con il cadavere di una prostituta annegata nel Tevere. Siamo oltre l’eccesso, mi viene da pensare che se campasse ai nostri giorni il genio della luce, che resta il mio favorito, ascolterebbe solo canzoni neomelodiche con la radio a palla».
La normalità, insomma, a Napoli è una condizione quasi sconosciuta.
«La cerco ma non la trovo, potremmo cavarcela così, soprattutto nei nostri governanti. Ma anche nel calcio. Mi piace Ancelotti, ma sono un sarriano
di ferro deluso dal tecnico che la fossa se l’è scavata da solo. Vorrei proprio fare quattro chiacchiere con il sindaco De Magistris che pure ho votato due volte e dirgli che con un minimo di impegno si potrebbero risolvere tanti problemi».
Quali, ad esempio?
«Far funzionare le corsie preferenziali, installare qualche pensilina, migliorare i servizi igienici. Un po’ di normalità, ne abbiamo tanto bisogno. È troppo?, no è il minimo ma potremmo vivere meglio. E lo stesso vale anche per De Luca, lo stimavo ma poi ho scoperto che non è un progressista e per giunta ha poco charme».
Ora conosciamo il nostro interlocutore. Si chiama Vincenzo Vivo, è un omone che sfiora i due metri e vive la vita con una passione temperata dalla razionalità. È simpatico, pungente e se deve dire la sua non si tira certo indietro. Parte e attacca. Mai una scelta azzardata, però. «E come potrei?», replica. Vincenzo ha 57 anni e solo da tre anni fa il tassista «per disperazione», ma se la cava molto bene nonostante la precarietà del quotidiano. Abita a Fuorigrotta con la moglie Maria Rosaria Tedeschi e i figli Carmine – tassista anche lui – e Roberta Rita, quest’ultima una ragazza africana adottata. «È la nostra gioia, ha ventitrè anni, si è laureata all’Orientale e lavora ad Ischia accompagnando in giro per l’isola i turisti tedeschi. Un’africana a braccetto con i tedeschi, non è male no? La madre naturale l’ha data alla luce nella clinica Pineta Grande e il parto venne preso da un ginecologo che è mio amico perché anche lui ama il jazz e spesso suona con me, lui alla batteria io alla chitarra che è il mio grande hobby».
Nella prima metà della sua vita professionale è stato un geometra in carriera rovinato, come tanti, dalla crisi del dopo terremoto.
«Ho tentato di resistere, sono passato da una impresa ad un’altra, poi mi sono stancato di avere a che fare con imprenditorucoli e ho deciso di mandare tutto all’aria. Non è stato facile, ho venduto una piccola proprietà, ho contratto un mutuo che ancora pago e ho saltato il fosso. Sono il primo tassometra, un tassista con la vocazione di geometra». È un associato della cooperativa Cotana e il suo taxi è il 2510. Molto apprezzato dai clienti per il comfort della vettura – una Skoda – e per la qualità del driver che sa di arte, offre ai clienti brani di Chopin, e conosce la storia di Napoli con una competenza che ha sorpreso perfino Carlo Knight («Ho molto apprezzato la sua cultura, ma mi ha stupito quando, dopo avergli descritto la chiesa di San Giuseppe, mi ha risposto superandomi e citando il Frankenstein di Mary Shelley il cui figliolo è sepolto lì. Davvero una bella esperienza»). Il paragone con «Taxi driver» è forse esagerato, ma viene di farlo: nel capolavoro di Martin Scorsese, Robert De Niro fa sfoggio della sua classe e descrive il Vietnam visto da un tassista; nel nostro caso il taxista vede Napoli a modo suo ma con le lenti giuste.
Ora un altro traguardo: un libro appena uscito per le edizioni Homo scrivens.
«Ho ancora pudore a definirmi scrittore, diciamo che con “Il giardino di Pegaso” ho realizzato un altro sogno. Il libro è un viaggio alla scoperta dell’amore che esplode durante una vacanza estiva nella villa del nonno aristocratico del protagonista. Affronto anche temi delicati, il classismo e la prepotenza in famiglia. I lettori hanno mostrato benevolenza, ma non dico altro, incrocio le dita e attendo il responso definitivo».
La storia di Roberto e Margherita e il richiamo del titolo al cavallo alato più famoso della mitologia greca non è del tutto casuale.
«Non è un libro autobiografico, dice con pudore Vincenzo Vivo, ma non nego che molte situazioni appartengono ad emozioni e a stati d’animo vissuti. Ora, però, parliamo del mio lavoro vero, il tassista, perché sono e resto la sigla 2510 della cooperativa Cotana. Felice di esserlo anche se spesso sono in disaccordo con i miei colleghi che vivono alla giornata. Ognuno va per i fatti suoi, come la città del resto».
Quale riforma auspica, in particolare.
«Cinque radio sono tante, forse ne basterebbe una, ma, soprattutto, bisogna puntare a un maggiore coinvolgimento del Comune, lo scontro frontale non porta a niente».
Oggi ha lavorato al centro storico, ha un ricordo particolare della giornata?
«Ho accompagnato a casa una cliente abituale, una professoressa che lavora a piazza San Domenico Maggiore. Facevo caldo, ma avevo in funzione l’aria condizionata e la radio diffondeva un brano di Chopin. Prima di pagare la professoressa ha detto: un viaggio così rilassante era proprio quello che ci voleva. Ecco, per oggi basta questo».
Il desiderio
Vorrei proprio fare quattro chiacchiere con il sindaco, che ho votato due volte E dirgli che con un minimo di impegno si potrebbero risolvere tanti problemi
I gusti nel calcio
Mi piace Ancelotti ma sono un sarriano di ferro anche se devo dire che la fossa se l’è scavata da solo con le sue mani Provo pudore a definirmi uno scrittore