Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Proteggere i bambini, ottava opera di misericordia
C’è un’altra faccia della paura dello straniero, dell’immigrato, del rom, che tanto allarme desta tra gli italiani, e che sta gonfiando le vele della Lega di Salvini. È il volto dei bambini, delle vittime minorenni, fragili e indifese, del grande spaesamento provocato dalle migrazioni. Anche loro hanno paura. E se abbiamo deciso di essere «cattivi» per fermare o quanto meno ridurre il traffico di esseri umani che viene diretto verso il nostro Paese come porta d’ingresso in Europa, allora dobbiamo anche imparare a essere «buoni» con chi ne paga il prezzo più alto, liberandoli dall’infame sfruttamento cui sono spesso sottoposti proprio da noi italiani.
Pensate a quel ragazzo di quattordici anni fermato l’altra notte mentre passeggiava tra i garage del Centro Direzionale, in attesa di un cliente, presumibilmente italiano, che ne predasse la sessualità a pagamento, per venti euro. Era con due compagni bulgari. Forse vive in un capo rom, ed è figlio di genitori di origine slava che non l’hanno mai mandato a scuola. Nessuno si è presentato per riprenderselo: né fratelli, né parenti, né amici. A quattordici anni l’hanno già trasformato in un relitto umano. Che ne sarà ora?
Oppure pensate alle ragazze nigeriane che vediamo prostituirsi sulle strade del Napoletano e del Casertano,
«protette» per strada o nelle case dalla camorra organizzata. La relazione semestrale della Direzione Antimafia descrive il girone infernale che è stata finora la loro vita: i boss della mafia nigeriana prendono nota fin dalla nascita delle bimbe in famiglie molto povere, e poi si presentano al momento giusto per comprarle e spedirle da noi. Per renderle schiave i boss del traffico pagano loro il viaggio e i documenti falsi, e poi le sottopongono a un patto di sangue con riti a sfondo woodoo, officiati dalle «maman», donne più anziane che ci sono già passate. Ma poi i mafiosi nigeriani pagano la tangente ai mafiosi nostri, ai clan napoletani e casertani, per ottenerne la «protezione» sul territorio, senza la quale il loro infame business non potrebbe svolgersi.
Oppure pensate a quei piccoli bambini rom, tre maschietti e due femminucce tra i sei e i tredici anni, trovati di mattina da un gruppo di turisti in Vico Pace ai Decumani, in un seminterrato buio e soffocante, tra i materassi gettati per terra e rifiuti sparsi ovunque,
dove vivevano e dormivano. Nel «basso» accanto c’era una giovanissima nigeriana con il suo cliente: quel budello oscuro proprio a due passi dalla Fondazione del Pio Monte è posto di alcove e di traffici illeciti. Si prostituivano anche i cinque bimbi? Forse no, o comunque non ancora. È più probabile che fossero usati per frugare di notte nei cassonetti in cerca di materiali da rivendere. I genitori, quando dopo molte ore si sono fatti vivi, sono stati denunciati per abbandono di minore.
Proprio a due passi da quel vicolo buio il Caravaggio ha dipinto una delle sue più celebri tele, le Sette Opere della Misericordia, avvolte in un’oscurità che solo il raggio di luce fortissima che cade dal cielo e in grado di rischiarare, provocando quell’effetto pittorico del «chiaroscuro» così tipicamente caravaggesco, e dando così al quadro un «naturalismo» che — come ha scritto Eduardo Cicelyn su queste pagine — ci ricorda ahinoi molto da vicino la realtà in cui sono ancora immersi quei vicoli oggi, a cinque secoli di distanza.
Le Opere della misericordia furono commissionate dalla Congregazione del Pio Monte per edificare e ispirare i fedeli alla virtù morale della misericordia. Sull’estrema sinistra del quadro si vede un uomo in piedi che indica un punto a una figura che indossa un cappello con la conchiglia, gli sta dicendo dove può trovare accoglienza, simboleggia il precetto di «ospitare i pellegrini». Accanto si vede un giovane cavaliere, San Martino di Tours, che regala il suo mantello a un povero: è «vestire gli ignudi». Quell’uomo che beve da una mascella d’asino è Sansone, ci ricorda di «dar da bere agli assetati». Sulla destra c’è invece la storia di Simone, condannato a morte per fame in carcere, che ci dice di «dar da mangiare agli affamati».
Ecco, verrebbe da chiedersi se noi italiani di buona volontà ci preoccupiamo mai di dar da mangiare e da bere, di vestire e curare questi piccoli derelitti che la marea della Storia sbatte sulle nostre spiagge e nelle nostre città. Dove è finita la nostra Misericordia, dopo la fine del Giubileo che la Chiesa le ha appena dedicato? E verrebbe anche da chiedere al ministro dell’Interno Salvini che cosa stia facendo lo Stato italiano, nelle viscere delle nostre città e non solo in mare aperto, per combattere e annichilire chi organizza lo sfruttamento di questi bambini cui viene rubata perfino l’innocenza.
Liberarli dalla schiavitù, come hanno provato a fare con umanità e professionalità gli agenti che hanno trovato i cinque bambini dei Decumani o il giovane costretto a prostituirsi, vuol dire anche dar loro una nuova vita, un’educazione e un futuro. In tema di dignità degli esseri umani non c’è tolleranza possibile. Ma uno Stato è degno di dirsi tale, e dunque di proteggere se stesso e i suoi confini, solo se è in grado di accogliervi e di proteggervi almeno i bambini. Altrimenti bisognerà dar ragione al presidente della Croce Rossa, Francesco Rocca, quando ci ammonisce: «La vera invasione è quella dell’indifferenza».