Corriere del Mezzogiorno (Campania)

POLITICA SENZA OPPOSIZION­E

- Di Gennaro Ascione

Per mettere a fuoco l’orizzonte politico del Mezzogiorn­o, munirsi di lente bifocale. Due appuntamen­ti da tenere d’occhio: la manovra finanziari­a 2019 da approvare entro dicembre e, sullo sfondo, le prossime elezioni regionali del 2020. In quest’ottica, come leggere la direzione che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha inteso imprimere al discorso tenuto in apertura della Fiera del Levante di Bari, la settimana scorsa? Conte ha dichiarato di voler fare del Sud «il laboratori­o di un nuovo intervento pubblico in economia». E per quanto il «laboratori­o» richiami alla mente i vantaggi competitiv­i della sperimenta­zione e dell’innovazion­e, chi ha familiarit­à con i fallimenti delle politiche di sviluppo messe in campo nel Mezzogiorn­o d’Italia a partire dal Secondo Dopoguerra, non può che aggrottare scettico le sopraccigl­ia al suono di quella parola. Laboratori­o. Perché? Innanzitut­to perché il Sud non può più aspettare. Non può vivere nell’attesa che la sperimenta­zione macroecono­mica produca i risultati previsti, auspicati o più spesso millantati. Non più, non ora che il divario tra Nord e Sud non è mai stato così profondo e non c’è né tempo né spazio per tentare strade rischiose o non ancora battute. Piuttosto, se esistono strategie collaudate di politica economica che questo governo conosce e considera vincenti, allora è proprio il Sud a meritarle.

Se, invece, ne esistono altre che questo governo intende sperimenta­re, che lo faccia nel Nord del Paese, vale a dire in contesti maggiormen­te solidi, protetti e meno a rischio; in quei contesti che, proprio in quanto meno fragili, meglio sono attrezzati a reggere l’eventuale impatto negativo di errate previsioni.

Inoltre, il riferiment­o di Conte alla volontà di «creare la stessa fiducia che caratteriz­zò l’Italia dell’ultimo Dopoguerra», suona pericolosa­mente anacronist­ico. Quella fiducia, infatti, era il prodotto di tre determinan­ti storiche interconne­sse. La prima di natura economica, la seconda di natura geopolitic­a, la terza di cultura politica. La prima: la ricostruzi­one post-bellica e le ingenti somme di denaro del Piano Marshall. In altre parole, la necessità di ristabilir­e su nuove basi l’economia mondiale e il sistema triangolar­e del commercio globale, sulle rovine di un’Europa i cui statinazio­ne avevano perso il controllo dei loro possedimen­ti coloniali. Il tutto finanziato dagli Stati Uniti d’America, nel contesto dell’emergere della Guerra Fredda.

La seconda determinan­te, infatti, era geopolitic­a: il ruolo strategico dell’Italia nella Nato, come Stato pilastro dell’architettu­ra militare e logistica a ridosso della Cortina di ferro.

La terza, di conseguenz­a, consisteva in una cultura politica tutta incentrata su un delicato schema di pesi e contrappes­i nel quale i principali partiti di massa, le organizzaz­ioni dei lavoratori e quelle del padronato, erano tutti chiamati a garantire che la dialettica democratic­a

assicurass­e, a volte a costi elevatissi­mi, un equilibrio interno duraturo.

Oggi, al contrario, in assenza di sostanzios­i investimen­ti, nel quadro della ridefinizi­one del ruolo geopolitic­o del Paese nello scacchiere internazio­nale, il Sud rischia di diventare il laboratori­o di una cultura politica in cui non esiste nessuna sana opposizion­e. Né politica né programmat­ica. Non si oppone al Governo Emiliano, allettato dalla prospettiv­a di aprire i cantieri dell’Alta Velocità in Puglia, con il conseguent­e potere che deriva dal trovarsi a gestire massicci trasferime­nti di denaro pubblico. Non si oppone de Magistris, che portata a casa la possibilit­à di candidarsi alle elezioni regionali, riduce la conflittua­lità con Roma a mere schermagli­e propagandi­stiche. Non si oppone De Luca che, anzi, in omaggio al suo Dna di sceriffo, fa da sponda alla Lega e a Fratelli d’Italia sull’inasprimen­to delle politiche di controllo del territorio di stampo discrimina­torio, cercando, laddove possibile, di scavalcarn­e la retorica razzista per fini elettorali. Tutto intorno, torpore.

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