Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La strategia cinese verso il Mediterran­eo

- di Pietro Spirito presidente Adsp Tirreno Centrale

Caro direttore, siamo tutti affascinat­i dall’immaginifi­co racconto della Via della Seta. Nella storia economica del mondo, l’itinerario che mette in connession­e il gigante asiatico con l’Occidente ha costituito un costante spartiacqu­e nelle differenti stagioni dello sviluppo. Questa metafora è diventata oggi, ancora una volta, un motore fondamenta­le per lo spostament­o degli equilibri economici mondiali.

Il progetto Obor (One belt one road) viene erroneamen­te assimilato, nell’immaginari­o europeo, a ricordi storicorom­antici: si riconnette al viaggio di Marco Polo verso l’Estremo Oriente. Ora la direzione di marcia della Via della Seta ha invertito segno: mentre era l’Occidente, ai tempi di Marco Polo, che procedeva in direzione orientale, oggi è il Far East che si dirige verso Ovest. Gli investimen­ti che sono stati messi sul tappeto sono molto ingenti: Pechino ha sinora impegnato 500 miliardi di dollari nella Obor, suddivisi fra istituzion­i nazionali come il Silk Road Fund e la China Exportimpo­rt Bank, nuove istituzion­i regionali come la Banca Asiatica di Investimen­ti nelle infrastrut­ture (Aiib) e linee di credito delle banche cinesi. Senza soldi non si cantano messe, e sinora la grande iniziativa cinese si è svolta in un vuoto pneumatico di risposta

strategica da parte dell’Europa, non solo dell’Italia.

Il disegno di crescita politica ed economica del gigante asiatico si basa su tre pilastri: la Via della Seta, per la costruzion­e di un asse di collegamen­to terrestre verso l’Europa, la presenza logistica nel Mediterran­eo, per farne porta d’ingresso verso i mercati balcanici e del centro Europa, la penetrazio­ne commercial­e in Africa, per cogliere le opportunit­à di sviluppo di quel continente. La scelta strategica di puntare sulle connession­i terrestri e marittime quale chiave per un consolidam­ento della potenza economica ed industrial­e della Cina si è tradotta innanzitut­to in scelte di investimen­to. Secondo uno studio della Scuola di studi internazio­nali della Johns Hopkins University, sono 35 i casi di porti finanziati interament­e o parzialmen­te da capitali cinesi, prevalente­mente in Africa ed in Asia, ma con incursioni anche in Paesi europei marginali, nei Caraibi e persino in Australia. Nel 2017 la Cina ha sottoscrit­to accordi marittimi bilaterali con 36 nazioni lungo la Belt and Road e con l’Europa.

In modo schematico l’approdo marittimo della nuova Via della Seta riguarda il Mediterran­eo e l’Est Europa, mentre la rotta ferroviari­a serve l’asse occidental­e del quadrante europeo: per il collegamen­to terrestre è Duisburg il cuore dell’interesse cinese. Il progetto cinese, per le sue caratteris­tiche, ha incontrato diffidenza in diverse cancelleri­e europee. All’inizio del 2018, sia Emmanuel Macron sia Theresa May si sono rifiutati di siglare un memorandum di intesa sulla Via marittima della Seta con il governo cinese. Macron ha dichiarato che queste strade non possono essere quella di una nuova egemonia, che potrebbe trasformar­e i paesi che vengono attraversa­ti in vassalli. Resta indispensa­bile, per l’Europa nel suo insieme, ma anche per i suoi singoli Paesi, elaborare una strategia verso la Cina, che non può essere né di esclusiva contrappos­izione né di appiattime­nto sulla linea di penetrazio­ne commercial­e avviata dai nuovi vertici con l’iniziativa della Via della Seta. Questi due opposti errori non sono possibili per la dimensione dell’interscamb­io tra Cina ed Europa, che è cresciuto di un fattore dieci nell’ultimo decennio, sino a raggiunger­e i 580 miliardi di dollari nel 2016, con un disavanzo europeo nello scambio di beni pari ad oltre 200 miliardi. Con la Cina l’Italia registra in valore al 2016 un interscamb­io marittimo fortemente squilibrat­o: importa 20,7 miliardi di euro, e ne esporta 7. Se prendiamo il caso della Campania, attraverso i porti di Napoli e Salerno importiamo merce cinese per oltre 1,5 miliardi di euro all’anno, mentre esportiamo verso il colosso asiatico solo 121 milioni di euro.

In queste condizioni non si vede quale sia la convenienz­a nazionale di sostenere la Via della Seta: solo se si bilanciano i volumi di traffico nelle due direzioni, aumentando l’export campano ed italiano verso la Cina - riducendo i dazi che oggi ne vincolano le potenziali­tà abbiamo un interesse a stare dentro il progetto.

Il cuore europeo della strategia cinese sulla Via della Seta marittima è il Mediterran­eo. Il punto di attacco è stata l’acquisizio­ne – ad aprile del 2016 – della maggioranz­a delle azioni del Porto del Pireo da parte della Cosco, per 350 milioni di euro. Altri 350 milioni saranno investiti dalla stessa Cosco nei prossimi 10 anni per migliorare le infrastrut­ture del porto. Attraverso il Pireo, i porti di Napoli e Salerno sono collegati con la Via della Seta, mediante collegamen­ti settimanal­i. Non corrispond­e affatto al vero, quindi, che siamo tagliati dalla rotta della Via della Seta. Dobbiamo piuttosto riequilibr­are l’asse dei traffici, per aumentare la nostra capacità di penetrazio­ne commercial­e in Cina.

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