Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La strategia cinese verso il Mediterraneo
Caro direttore, siamo tutti affascinati dall’immaginifico racconto della Via della Seta. Nella storia economica del mondo, l’itinerario che mette in connessione il gigante asiatico con l’Occidente ha costituito un costante spartiacque nelle differenti stagioni dello sviluppo. Questa metafora è diventata oggi, ancora una volta, un motore fondamentale per lo spostamento degli equilibri economici mondiali.
Il progetto Obor (One belt one road) viene erroneamente assimilato, nell’immaginario europeo, a ricordi storicoromantici: si riconnette al viaggio di Marco Polo verso l’Estremo Oriente. Ora la direzione di marcia della Via della Seta ha invertito segno: mentre era l’Occidente, ai tempi di Marco Polo, che procedeva in direzione orientale, oggi è il Far East che si dirige verso Ovest. Gli investimenti che sono stati messi sul tappeto sono molto ingenti: Pechino ha sinora impegnato 500 miliardi di dollari nella Obor, suddivisi fra istituzioni nazionali come il Silk Road Fund e la China Exportimport Bank, nuove istituzioni regionali come la Banca Asiatica di Investimenti nelle infrastrutture (Aiib) e linee di credito delle banche cinesi. Senza soldi non si cantano messe, e sinora la grande iniziativa cinese si è svolta in un vuoto pneumatico di risposta
strategica da parte dell’Europa, non solo dell’Italia.
Il disegno di crescita politica ed economica del gigante asiatico si basa su tre pilastri: la Via della Seta, per la costruzione di un asse di collegamento terrestre verso l’Europa, la presenza logistica nel Mediterraneo, per farne porta d’ingresso verso i mercati balcanici e del centro Europa, la penetrazione commerciale in Africa, per cogliere le opportunità di sviluppo di quel continente. La scelta strategica di puntare sulle connessioni terrestri e marittime quale chiave per un consolidamento della potenza economica ed industriale della Cina si è tradotta innanzitutto in scelte di investimento. Secondo uno studio della Scuola di studi internazionali della Johns Hopkins University, sono 35 i casi di porti finanziati interamente o parzialmente da capitali cinesi, prevalentemente in Africa ed in Asia, ma con incursioni anche in Paesi europei marginali, nei Caraibi e persino in Australia. Nel 2017 la Cina ha sottoscritto accordi marittimi bilaterali con 36 nazioni lungo la Belt and Road e con l’Europa.
In modo schematico l’approdo marittimo della nuova Via della Seta riguarda il Mediterraneo e l’Est Europa, mentre la rotta ferroviaria serve l’asse occidentale del quadrante europeo: per il collegamento terrestre è Duisburg il cuore dell’interesse cinese. Il progetto cinese, per le sue caratteristiche, ha incontrato diffidenza in diverse cancellerie europee. All’inizio del 2018, sia Emmanuel Macron sia Theresa May si sono rifiutati di siglare un memorandum di intesa sulla Via marittima della Seta con il governo cinese. Macron ha dichiarato che queste strade non possono essere quella di una nuova egemonia, che potrebbe trasformare i paesi che vengono attraversati in vassalli. Resta indispensabile, per l’Europa nel suo insieme, ma anche per i suoi singoli Paesi, elaborare una strategia verso la Cina, che non può essere né di esclusiva contrapposizione né di appiattimento sulla linea di penetrazione commerciale avviata dai nuovi vertici con l’iniziativa della Via della Seta. Questi due opposti errori non sono possibili per la dimensione dell’interscambio tra Cina ed Europa, che è cresciuto di un fattore dieci nell’ultimo decennio, sino a raggiungere i 580 miliardi di dollari nel 2016, con un disavanzo europeo nello scambio di beni pari ad oltre 200 miliardi. Con la Cina l’Italia registra in valore al 2016 un interscambio marittimo fortemente squilibrato: importa 20,7 miliardi di euro, e ne esporta 7. Se prendiamo il caso della Campania, attraverso i porti di Napoli e Salerno importiamo merce cinese per oltre 1,5 miliardi di euro all’anno, mentre esportiamo verso il colosso asiatico solo 121 milioni di euro.
In queste condizioni non si vede quale sia la convenienza nazionale di sostenere la Via della Seta: solo se si bilanciano i volumi di traffico nelle due direzioni, aumentando l’export campano ed italiano verso la Cina - riducendo i dazi che oggi ne vincolano le potenzialità abbiamo un interesse a stare dentro il progetto.
Il cuore europeo della strategia cinese sulla Via della Seta marittima è il Mediterraneo. Il punto di attacco è stata l’acquisizione – ad aprile del 2016 – della maggioranza delle azioni del Porto del Pireo da parte della Cosco, per 350 milioni di euro. Altri 350 milioni saranno investiti dalla stessa Cosco nei prossimi 10 anni per migliorare le infrastrutture del porto. Attraverso il Pireo, i porti di Napoli e Salerno sono collegati con la Via della Seta, mediante collegamenti settimanali. Non corrisponde affatto al vero, quindi, che siamo tagliati dalla rotta della Via della Seta. Dobbiamo piuttosto riequilibrare l’asse dei traffici, per aumentare la nostra capacità di penetrazione commerciale in Cina.