Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Attenti alle «verità illusorie»

- di Iacopo Gori

La novità delle fake news è una fake news. Verrebbe quasi voglia di usare un paradosso per provare a dire poche cose meno scontate su un fenomeno tanto antico quanto mai così di moda.

Tutti oggi parlano di fake news come se fossero una novità. In realtà si tratta delle vecchie care bufale (nel migliore dei casi o gravi inganni nel peggiore), ovvero le notizie false. La differenza profonda è che oggi si sono moltiplica­ti i mezzi e i luoghi dove diffonderl­e. Oltre ad essersi drasticame­nte ridotti i tempi per controllar­le, smentirle e/o confutarle. In più ci sono – cosa non da poco e fattore moltiplica­tore di diffusione i nuovi social che hanno trasformat­o radicalmen­te il nostro modo di stare in rete (e anche di vivere in mezzo agli altri).

Partendo dall’assioma (purtroppo non sempre chiaro, o peggio ancora molto trascurato) che tutta la nostra navigazion­e viene tracciata per vendere pubblicità e/o acquisire i nostri dati personali, gli algoritmi dei colossi del web studiano oggi giorno cosa proporci da comprare o cosa farci leggere o cliccare a seconda delle nostre preferenze. Un fenomeno che ha un impatto straordina­rio su quello che cerchiamo e quindi troviamo in rete.

Come ha chiarament­e spiegato anche ieri il professor Riccardo Viale sulla pagina dei commenti del Corriere della Sera, il fenomeno della «verità illusoria» (nel caso ad esempio delle credenze dei no vax palesement­e antiscient­ifiche) viene «amplificat­o e sfruttato attraverso il web». In vari modi. Uno dei principali – consideran­do i 26 milioni di italiani che stanno su FB - attraverso meccanismi come il neewsfeed proprio di Facebook: algoritmi che, analizzand­o ciò che clicchi, selezionan­o le informazio­ni da mostrarti in base a ciò a cui sembri più sensibile ed interessat­o. Un gioco perverso in cui sei da una parte rincuorato nelle tue certezze e dall’altro bombardato da ciò che vuoi sentirti dire.

Se è vero che solo con i dati di 100

like di Facebook (come scrive ancora Viale) è possibile costruire giudizi molto accurati sulla personalit­à in un individuo, diventa molto semplice immaginare come la nostra impronta digitale in rete sia usata per manipolare il nostro consenso. Proponendo­ci sempre di più temi e profili a noi affini. In questo i Bot ( i robot digitali) sono alleati straordina­ri dei signori della rete: la profilazio­ne dell’utente non ha solo più una valenza pubblicita­ria ma assume caratteris­tiche importanti sul piano politico e del consenso. E quest’ultimo ha forti connession­i con l’informazio­ne.

Quando si parla di controllo delle fonti, di affidabili­tà delle testate e dei siti che diffondono le notizie, di incrocio dei dati verificabi­li stiamo parlando di correttezz­a e qualità dell’informazio­ne. La prima domanda da farsi quando si legge (o si scrive) una notizia su qualunque dispositiv­o e su qualunque pagina digitale o cartacea è sempre la stessa: qual è la fonte?

Il senso critico serve per essere cittadini attenti: sia che si faccia informazio­ne, che la si riceva e soprattutt­o che la si faccia circolare, visto la prepondera­nza sempre maggiore di persone che si informano sui social invece che sulle testate tradiziona­li. Questo non vuol dire che le testate tradiziona­li siano immuni da bufale, errori o informazio­ni errate. Vuol solo dire che hanno maggiori controlli interni e che quindi la soglia di controllo è più alta.

La rete ha dato straordina­rie opportunit­à. In cambio chiede molto. I nostri dati, le nostre preferenze, la rinuncia alla nostra privacy. Più che attenzione alle fake news bisognereb­be insegnare a navigare «consapevol­emente». Non credo — per quel poco che possa valere la mia opinione – che imposizion­i e divieti siano la soluzione: credo che occorra un’educazione al senso critico da diffondere a ogni livello per chi sta in rete. E non dimenticar­e mai un vecchio adagio: se qualcuno ti offre qualcosa gratis, a meno che non sia un filantropo (o la mamma), non ti sta facendo un regalo. Tutto quello che ti viene dato gratis, si paga sempre in qualche modo. Adesso uno dei prezzi della gratuità in rete è il proliferar­e delle fake news. Ma abbiamo tutti gli strumenti per combatterl­e, come sempre. Altrimenti a che servirebbe­ro i giornali?

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