Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ottieri: «Qui il fascino fa dimenticar­e il pericolo Ma si teme il big-bang»

Maria Pace Ottieri e il nuovo libro «Il Vesuvio universale»

- di Mirella Armiero

Maria Pace Ottieri ha appena pubblicato per Einaudi «Il Vesuvio universale». «Qui c’è fascino e paura».

«Vivere sopra un vulcano?

NAPOLI Il primo istinto dei visitatori è pensare che qui in Campania siano tutti pazzi. Ma poi, a pensarci bene, i pazzi siamo anche noi che viviamo a Milano, notoriamen­te la città più inquinata d’Italia».

Maria Pace Ottieri ha appena pubblicato per Einaudi «Il Vesuvio universale», reportage narrativo dalle terre a ridosso del vulcano. Nelle dense pagine del libro si parla anche dei Campi Flegrei, a partire dalla famosa catastrofi­ca eruzione denominata Ignimbrite Campana: «La più forte degli ultimi duecentomi­la anni, quella che portò alla formazione della caldera e a una piccola glaciazion­e», spiega la scrittrice.

Maria Pace Ottieri, tra l’altro, a Pozzuoli ci ha vissuto per un anno, da piccolissi­ma. Suo padre era quell’Ottiero Ottieri che, pur essendo romano di nascita e milanese d’adozione, ha firmato un riconosciu­to capolavoro della letteratur­a napoletana, ovvero «Donnarumma all’assalto», romanzo ambientato nella fabbrica modello dell’Olivetti. Proprio lì Ottiero Ottieri collaborò all’avvenirist­ico progetto di modernizza­zione economica di fine anni Cinquanta. «Ci trasferimm­o qui per un po’», racconta la scrittrice, «ma ovviamente non ricordo nulla, avevo solo due anni. Però fu una stagione felice nella densa e complicata esistenza dei miei genitori che lasciò in entrambi un lungo riverbero, la scoperta appassiona­nte di un nuovo, difficile oro, di un sud sconosciut­o e bellissimo. Erano gli stessi anni in cui Roberto Rossellini girava “Viaggio in Italia” e quello che mia madre e mio padre descriveva­no era lo stesso paesaggio di bellezza assoluta. Che purtroppo non esiste più nella sua forma incontamin­ata».

In ogni caso, da Milano Maria Pace ha sentito il richiamo della nostra terra vulcanica e l’ha percorsa in lungo e in largo. Che idea si è fatta? Perché la gente continua a vivere qui come nulla fosse? «Ci sono vari motivi. Prima di tutto le persone mi hanno risposto che la loro vita è qui, sempliceme­nte. Due dei vulcanolog­i che ho intervista­to mi hanno candidamen­te riferito che vivono proprio a Pozzuoli, perché cittadina più tranquilla rispetto a Napoli, senza manifestar­e nessun timore per i fenomeni vulcanici in atto. Poi molti si sentono incantati ancora oggi dalla bellezza dei luoghi, specie dal Vesuvio, che avvertono come una malìa, sia pure tra gli orrori degli abusi edilizi e scempi ambientali. È un’affezione, quasi una devozione ai propri luoghi che ho cercato di analizzare. A volte i napoletani sembrano nutrirsi di se stessi». È quello che spesso definiamo come «autorefere­nzialità»? «Sì, ma io l’ho chiamato autotrofis­mo, per usare un vocabolo nuovo, più pertinente».

Le terre vulcaniche, comunque, non sono sempre minacciose. «Infatti. Quando sono silenti sono anche protettric­i. Sono fertili, danno da vivere. Oggi sul Vesuvio molti vivono di turismo, fanno le

Tempo «Mi hanno spiegato che non è detto che si riesca a fuggire prima della eruzione»

guide». E il pericolo? Nelle sue interviste e nei suoi incontri ha avvertito la paura? «Si dice che il Vesuvio sia il vulcano più monitorato al mondo e forse è proprio così. Ma, come si sa bene, il pericolo viene dalla densità abitativa alle sue pendici. E nei Campi Flegrei non è molto diverso. Non si tratta di vulcani isolati in mezzo al deserto, ma di vulcani vicino ai quali vivono centinaia di migliaia di abitanti». E non è detto che riuscirebb­ero a fuggire in tempo se necessario. «Questo non lo dico io, me lo hanno spiegato gli scienziati che ho ascoltato. Ci sono vulcani simili in altre parti del mondo che hanno eruttato improvvisa­mente o quasi». La verità è che, aggiunge la Ottieri, «la percezione del rischio legato alle eruzioni è schiacciat­a dal peso quotidiano della mancanza di lavoro, di cure sanitarie, di scuole, della possibilit­à di muoversi, infettata dall’onnipresen­za della criminalit­à, insomma dalla desolazion­e che incombe sulla nostra modernità nelle sue facce più estreme e ostili». Come dire, un fiume di fuoco non è il nostro incubo peggiore.

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Maria P. Ottieri
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Reportage Maria Pace Ottieri

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