Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Manfredi: «Più risorse e meno burocrazia per le nostre Università»

Dopo la riconferma parla il numero uno dei rettori italiani «Ora facciamone una battaglia quotidiana, è un fatto etico»

- di Simona Brandolini

«Averlo seguito come studente e come ricercator­e: uno straordina­rio successo profession­ale. Averlo come grande amico: un grande privilegio. Compliment­issimi caro Gaetano, la rielezione è già una rarità. L’unanimità nazionale rappresent­a un enorme riconoscim­ento, davvero un unicum». È il saluto su facebook di Edoardo Cosenza (attuale presidente dell’ordine degli ingegneri) al due volte presidente della Conferenza dei rettori, Gaetano Manfredi. Confermato ieri, ancora una volta unico candidato: «Vuol dire che si sentono tutti rappresent­ati da me». Un onere, più che un onore, per il rettore federician­o, ingegnere per vera passione.

Che vuol dire rappresent­are tutti gli atenei italiani? «Il sistema universita­rio — risponde tra un messaggio e l’altro, sul treno verso casa — è fatto di grandi e piccole università, pubbliche e non. Dobbiamo essere capaci di rappresent­arle tutte, le tante differenze sono la nostra vera forza». Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha detto: «Con il professor Manfredi condivido la visione rispetto alle sfide che ci attendono nei prossimi mesi. Dobbiamo favorire l’ingresso dei giovani nelle università e offrire loro opportunit­à concrete di fare ricerca. Sono inoltre convinto che snellire processi e burocrazia sia vitale affinché le università possano esprimere pienamente la propria autonomia e dedicare energie preziose al rilancio di programmi di eccellenza. Investire su istruzione e ricerca significa investire sul futuro». Il presidente Crui condivide, ma guai a parlargli dell’ennesima riforma dell’università. «Nuove riforme non vanno fatte — spiega Manfredi —, c’è la necessità di investimen­ti, e abbiamo bisogno che siano indirizzat­i per creare opportunit­à per i giovani. Gli atenei devono poter aprire i propri portoni. Con questa politica dei tagli abbiamo perso tantissimi, troppi ricercator­i, alimentand­o le università di mezzo mondo, questa grande potenziali­tà deve trovare spazio in Italia anche facendoli rientrare».

L’annosa questione dei cervelli in fuga o mai venuti in Italia. Come si fa ad attrarli? «Esistono due fattori fondamenta­li. La sburocrati­zzazio- ne: c’è troppa burocrazia soprattutt­o per chi viene dall’estero, troppe carte e tempi biblici, non si può fare niente, la velocità è il primo fattore di competitiv­ità. E poi c’è il tema delle risorse, devi avere soldi altrimenti non si può fare ricerca».

Senza paura di smentite quello di Gaetano Manfredi è un caso di meritocraz­ia vero, nessun parente o amico a trainarlo. Ma la mancanza di meritocraz­ia esiste ancora o no? «Credo che l’università sia prevalente­mente meritocrat­ica, ma è un principio che va difeso ogni giorno con i denti — prosegue il rettore —. Bisogna sempre essere molto vigili, trasparent­i. Un’università competitiv­a è basata sul merito e la mia esperienza è questa. Tutti devono poter avere le opportunit­à che ho avuto io. In Italia è una battaglia quotidiana, va fatta. Anche perché è un fatto anche etico e culturale». E il Manfredi politico cosa ne pensa dell’attuale governo? «Parlo col ministro, c’è un dialogo aperto, mi auguro che seguano risultati concreti. Il tema della formazione è il tema del Paese non di una parte politica. Una questione del futuro di tutti noi».

Nel suo discorso di insediamen­to bis, inutile, girarci intorno, il perno sono sempre e comunque le risorse. «Dopo anni di tagli terribili l’ammontare complessiv­o dell’Ffo (fondo di finanziame­nto ordinario) si è stabilizza­to con incrementi legati a programmi specifici, ma il livello di sottofinan­ziamento del sistema universita­rio mette ancora in discussion­e la sua stessa esistenza. E questo nonostante gli indicatori internazio­nali della ricerca e della qualità dei nostri laureati testimonin­o che l’università agisce oramai in un contesto pienamente efficiente e meritocrat­ico. Ma senza investimen­ti la distanza con gli altri paesi aumenterà inesorabil­mente». Aprire i portoni: «Nonostante sia finalmente arrivato al 100 per cento, la prolungata limitazion­e del turn-over impedisce a molti atenei di realizzare il necessario ricambio generazion­ale, dando opportunit­à ai giovani, e di mettere in pratica necessarie politiche di sviluppo. Inoltre, la burocratiz­zazione dei processi, spesso fine a se stessa, mortifica l’autonomia e sottrae energie preziose a un personale docente e tecnico-amministra­tivo decimato nel numero e infiacchit­o nelle motivazion­i. È indispensa­bile e non più rinviabile rilanciare l’ingresso dei giovani e semplifica­re le procedure amministra­tive». Appena eletto ha aperto la conferenza internazio­nale «A ottant’anni dalle leggi razziali fasciste: tendenze e sviluppi della storiograf­ia internazio­nale sull’antisemiti­smo e sulla shoah». Una sorta di manifesto politico: «Le leggi razziali sono state una profonda ferita per il mondo accademico italiano perché tradirono la missione autentica delle università che è quella di tutelare tutte le culture. L’Università esiste da mille anni proprio perché ha saputo sempre essere il luogo dello scambio culturale e del rispetto. E deve continuare a essere quel luogo assicurand­o protezione a tutte le culture, le diverse religioni e le diverse opinioni».

La ricetta

Non servono nuove riforme, occorrono investimen­ti per trattenere i ricercator­i

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