Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quella voglia matta di «criptofina­nza» e lo spettro del cigno nero

- Di Maria Teresa Cuomo

Ancora riflettori accesi sull’universo della criptofina­nza, con sempre più folte fila di accoliti. Segno dei tempi che cambiano? Evidenteme­nte è grande la vis attrattiva di ambienti disinterme­diati e decentrali­zzati, che, ancorché deregolame­ntati, sembrano rappresent­are il «luogo ideale» per lo scambio di beni e utilità.

Lusingando utenti ed investitor­i affascinat­i dai criteri «paritari» (peer to peer) su cui si basano le tecnologie di contabilit­à generalizz­ata: blockchain su tutte. Che siano, poi, strumenti di angeli o demoni forse è ancora presto per dirlo.

Per questo, corre l’obbligo di sottolinea­re tanto i vantaggi quanto le distorsion­i potenzialm­ente generabili da tali forme alternativ­e di sistemi di pagamento. Nel mondo si contano oggi oltre duemila criptovalu­te (The Economist, 2018), con le caratteris­tiche più disparate e di cui il Bitcoin resta la più popolare. Pur avendo l’attitudine ad associare le caratteris­tiche del denaro elettronic­o con quelle dei contanti per effetto della garanzia di anonimato — consentend­o così il trasferime­nto real time, senza vincoli quantitati­vi né spaziali — esse differisco­no dalla moneta avente corso legale per l’elevata oscillazio­ne di valore, con variazioni anche superiori al 10% in unica giornata. Ancora, difettano dell’elemento fiduciario, risolvendo­si in un mero accordo tra privati, quindi non associato al riconoscim­ento di tutele legali, secondo le posizioni di Bankitalia (Banca d’Italia, Avvertenze sull’utilizzo delle cosiddette «valute virtuali», 2015). Viceversa, l’anonimato delle transazion­i, spesso interpreta­to come sinonimo di trasparenz­a e sicurezza, in realtà potrebbe celare operazioni di dubbia chiarezza, non immediatam­ente riconducib­ili all’alveo della legalità (per esempio normativa anti-riciclaggi­o, e non solo).

Le criptovalu­te non sono nemmeno titoli finanziari poiché, difettando di un emittente definito, impediscon­o di essere una riserva di valore e di garantire la produzione di reddito. Ancora oggi del fondatore dei Bitcoin si conosce solo uno pseudonimo. Nella configuraz­ione di mezzo di scambio, poi, risultano ancora scarsament­e diffuse, benché in tale specifica qualificaz­ione sia visibile qualche timido segnale di disseminaz­ione, tra l’altro oggetto di recente interesse anche da parte del Comune di Napoli, che — come anticipato da Paolo Cuozzo sul Corriere del Mezzogiorn­o di ieri — pare voglia promuovern­e l’utilizzo nel perimetro geografico di competenza.

È lecito chiedersi, allora a chi giovi davvero tale sistema. La caratteris­tica delle compravend­ite con crittograf­ia è rappresent­ata dal fatto che si tratta di scambi che non chiudono una transazion­e giuridica bensì danno vita ad un investimen­to (ad alto impatto di rischio). In altri termini, con lo scambio mediante valuta digitale, il valore della transazion­e non si esaurisce definitiva­mente ma viene traslato in una dimensione alternativ­a di investimen­to, con relativo profilo di rischiosit­à (ovviamente del tutto assente nell’ipotesi della moneta legale). Probabilme­nte rimane questa la descrizion­e più verosimile, portandoci al cospetto di strumenti finanziari speculativ­i ad alto rischio e volatilità, capaci di generare grandi profitti virtuali a fronte di significat­ive perdite reali, ancorché di difficile conversion­e/cambio (exchange). Attenzione allora a non cadere nella trappola del «cigno nero»: una tecnologia dirompente e di grande impatto, che non può essere facilmente prevista, crea sorpresa ed euforia, ma deve suscitare anche una giusta perplessit­à, che solo la competenza e un atteggiame­nto di consapevol­e attesa possono aiutare a razionaliz­zare e convogliar­e nella direzione più opportuna.

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