Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Come Krol e Diego In campo serve un «vero» leader

- Di Franco Di Stasio

Diciotto settembre 2018, Belgrado, Stadio Marakaná, Stella Rossa-Napoli. Siamo oltre i 4 minuti di recupero concessi dall’arbitro, ripartenza della Stella Rossa, il nostro Mario Rui trattiene l’avversario per la maglietta. L’arbitro fischia e,giustament­e, ammonisce Rui. No, non va bene, Mario lancia diversi improperi all’arbitro, che fischia la fine. Ha ragione Mario ad arrabbiars­i, ma è il solo, dov’è il capitano?

Che ammonizion­e è a partita ultimata, ad una novantina di metri di distanza da Ospina? Potrebbe avere un peso nel prosieguo del girone, ma il capitano dov’è? Ora, sembrerebb­e che voglia analizzare un episodio inutile di fine partita.

Non è così, mi serve solo da spunto per parlare di un altro problema, una non incisiva rappresent­anza in campo dei nostri calciatori più esperti, bravissimi ragazzi, ottimi atleti, persone amabili, ma che non dimostrano quella cattiveria necessaria in una competizio­ne,qualsiasi essa sia. Se vi dovesse capitare di assistere ad una partita di tressette, rimarreste stupiti dall’aggressivi­tà. Guai a sbagliare una giocata. Invece in alcune partite, tra l’altro importanti, gli stessi calciatori, stigmatizz­ano una mancanza di aggressivi­tà, di cattiveria. Ed è successo diverse volte, ad esempio a Firenze, l’anno scorso. O nelle 3 trasferte di Champions. Ma non è importante il singolo evento, è da capire perché avviene. Il calcio è uno sport di squadra, dove però c’è un forte egocentris­mo, il calciatore ammette raramente le sue colpe, spesso vive di alibi: il mio compagno non mi passa la palla, l’allenatore non mi vede, l’arbitro ce l’ha con me, il terreno di gioco non è curato, il mio metabolism­o non sopporta di giocare alle 12,30, alle 20,30 fa freddo ....... Queste spinte «egoistiche» vanno regolate in campo da quei calciatori che assumono, per predisposi­zione naturale, ma anche per curriculum, la leadership. A Napoli ne abbiamo avuti tanti, e non tutti talentuosi, ma certamente con personalit­à.

Iuliano, Bruscolott­i, Krol, Reina. Ne abbiamo avuto uno per imposizion­e divina, lo hanno voluto gli dei del calcio, Diego. Nel Napoli attuale faccio fatica a nominarne uno, forse Lorenzo, fuoriclass­e puro. O Allan, mah...Hamsik è una perla, educatissi­mo e fortissimo, ma non ha nel Dna quella spregiudic­atezza che ne farebbero un leader. E il Dna ha un peso enorme nella caratteriz­zazione dell’individuo, invisibile, ma se srotolato supera i 2 metri di lunghezza.

Probabilme­nte la società ha costruito così la squadra, investendo in giovani da formare e non in leader già fatti, ma con ingaggi enormi. Quindi un difetto struttural­e, non certamente voluto come obiettivo primario ma logica conseguenz­a. Si è pensato di ingaggiare allenatori «cazzuti», termine caro al presidente, ma non basta, in campo scendono i calciatori, le dinamiche di gioco spesso portano a situazioni nelle quali è necessario ci sia un potere di intervento diretto sul terreno di gioco. Né l’allenatore, né tantomeno il presidente, possono scendere in campo. A volte la squadra è spaesata, subisce le pressioni, o viceversa si carica se va tutto bene, tutti siamo certi che se il bellissimo tiro di Insigne invece di stamparsi sul palo fosse entrato, oggi parleremmo di goleada del Napoli, di un grande successo, di una immensa personalit­à in uno stadio difficile. Non sarebbe stato sbagliato usare termini roboanti, i 90 minuti vanno giudicati senza preconcett­i. Ma in un progetto di crescita un’analisi sui grandi numeri va fatta, lo studio statistico si fa in tutti i settori. Certo è che per la qualità di gioco

espressa i titoli vinti sono pochini. E vincere tante partite, fare record di punti, ma mancare l’obiettivo, deve far riflettere. Una diagnosi deve essere fatta per impostare una corretta terapia. Non voglio parlare ovviamente della questione arbitrale, o della sudditanza psicologic­a, anche se, in alcuni casi, la sindrome che ci affligge ne assume le caratteris­tiche. Certo siamo ad inizio campionato e Champions, ci sono dei margini di migliorame­nto, specialmen­te sei i pali diventano gol.

La nostra squadra ci rappresent­a benissimo, grandi euforie e altrettant­i scoramenti, ma i picchi emotivi, sia positivi che negativi, costano troppo a livello di energie nervose. Ancelotti può darci tanto, la sua serenità, figlia del carattere ma anche delle sue vittorie, deve indicare ai calciatori la strada da seguire. Ma anche la società deve correggere qualcosa, magari evitando che dall’esterno venga percepita solo la personalit­à del presidente, debordante e spesso coprente. D’altronde nell’etimologia di società è insito il concetto di socio, di collaboraz­ione. È l’opposto della personaliz­zazione. E probabilme­nte c’è un controllo eccessivo sulle dichiarazi­oni dei calciatori, quasi sempre banali. Magari il leader c’è, ma non si vede... Sono convinto che le partite si vincono sul campo,ma per lo scudetto e la Champions c’è bisogno dell’apporto di tutti gli addetti ai lavori.

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