Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’ANTIDOTO AL NAZIONAL POPULISMO
La settimana scorsa mi è stato chiesto di fare da moderatore alla presentazione del libro di Matteo Ricci Primo, cittadino. Ricci è il sindaco di Pesaro e il responsabile enti locali del Pd. Alla presentazione è stato doverosamente invitato de Magistris in qualità di primo cittadino di Napoli. Molti hanno voluto vedere, in questa iniziativa, le prove di apertura di una parte del Pd nazionale verso il sindaco di Napoli in vista delle Europee e delle Regionali. Io non ho visto nulla di tutto ciò. Piuttosto a me sono sembrate molto distanti le idee dei politici Ricci e de Magistris, mentre erano compatibili e addirittura sovrapponibili quando erano i sindaci Ricci e de Magistris a parlare, soprattutto nella costruzione dell’opposizione e dell’alternativa al governo gialloverde. Facciamo però un passo indietro. In questi ultimi anni abbiamo sentito spesso parlare di populismo a proposito di esperienze politiche geograficamente e ideologicamente molto lontane. L’unico tratto comune è l’individuazione del popolo come un corpo unico e la sua difesa contro chi non fa i suoi interessi: le élite, l’establishment, i poteri economici e finanziari. Ma a questa contrapposizione di
noi vs loro, tra chi sta in alto e chi sta in basso nella stratificazione sociale, il populismo di destra aggiunge un’ulteriore dinamica: quella del conflitto basso vs estraneo, ovvero tra chi, pur sentendosi agli ultimi gradini della scala sociale, non vuole condividere i diritti di essere popolo con quelli che sono fuori di esso e aspirano a farne parte.
Anzi reputa questi ultimi la radice delle loro difficoltà economiche e sociali: l’odio e la paura nei confronti dell’ondata migratoria sono un esempio lampante. Il nazional-populismo, a ben guardare i primi mesi di vita del governo italiano, più che essere impegnato nella soluzione dei problemi e delle preoccupazioni del Paese, si limita a indicare i responsabili di tutto ciò che non va, con una preoccupante criminalizzazione della diversità e della povertà: quindi i migranti, ma anche i senza fissa dimora, gli occupanti di casa, gli ambulanti irregolari, i rom. Come è evidente, questo comporta un continuo rilancio comunicativo, che è a bassissimo tasso di realizzazione concreta. Se volessimo usare una citazione famosa potremmo dire ‘chiacchiere e distintivo’. Il problema è che tutto ciò ha un effetto deleterio sulla percezione di insicurezza e paura dell’opinione pubblica, che sono proprio le esche che alimentano la fiamma del populismo. Come si interrompe allora questo circolo vizioso? Ovvero come si costruisce l’alternativa al nazional-populismo?
Una risposta possibile è stare più vicini a chi sente quella paura e quella insicurezza sulla propria pelle, non per fomentarle né per negarle ma per aiutare concretamente a superarle, riducendo cioè la distanza tra percepito e reale. Se la prossimità delle istituzioni è decisiva per risolvere i conflitti all’interno delle comunità e rammendare i loro strappi, non c’è istituzione più prossima al cittadino che non sia il sindaco della propria città. D’altronde ogni primo cittadino affronta quotidianamente le questioni urgenti e reali delle persone, si confronta con la complessità dell’amministrazione e della burocrazia, deve fare gli interessi di tutta la città e non solo di una sua parte. Perciò sono convinto da tempo, che l’alternativa al nazional-populismo non sia un fumoso ed eterogeneo fronte repubblicano ma un pragmatico municipalismo popolare, che tenga insieme le storie civiche e democratiche delle oltre 8000 comunità del nostro Paese. Su questo campo il PD gioca ancora una partita decisiva, perché governa la maggior parte degli enti locali italiani e perché esprime i sindaci che hanno maggiore consenso (secondo le ultime rilevazioni demoscopiche). Ma soprattutto perché il PD può svolgere il ruolo di aggregatore di tutte le esperienze amministrative che sono nate al fuori di esso e spesso in contrapposizione, da Parma a Cagliari, da Latina a Brindisi, e forse anche a Napoli.