Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Vera e le seduzioni di un cuore adolescent­e

- di Vladimiro Bottone

Oggi ho ripensato al suo cuore da adolescent­e. Quel piccolo cuore che Vera custodisce in un sontuoso corpo da trentenne. Quel suo piccolo cuore (leggi: sensibilit­à) adolescenz­iale camuffato dietro l’intelligen­za beffarda e spregiudic­ata di una quasi quarantenn­e. Evidenteme­nte le sue schermagli­e smaliziate, le battute pronte sul profilo Facebook, per rintuzzare un eventuale lazzo maschile spintosi troppo in là, non rappresent­ano Vera, bensì la mascherano per quella grande recita collettiva.

Vera è una fiscalista oltremodo agguerrita, con una vita in pubblico che va ben oltre la socialità via Internet. Eppure, quando ci siamo rincontrat­i in quel caffè a ridosso delle mura greche, ha pianto come una ragazzina. Vergognand­osene. Soffocando i singhiozzi nel fazzoletti­no di carta. Non che abbia pianto per me. A me, tendenzial­mente, destina le sue bordate di rabbia, i suoi sfoghi amari per ciò che ho fatto e, insieme, per ciò che ho omesso di fare. No: queste lacrime Vera le ha distillate per la storia che mi racconta. Una storia, incompiuta e probabilme­nte conclusa, con un ragazzo più giovane di circa dieci anni. Ho sospirato, dispiaciut­o. Pur essendo di età diversissi­me, veniamo entrambi da storie di lunghi erramenti. Io divorziato due volte e pluri-padre. Lei reduce da tutta una serie di incauti innamorame­nti; incauti da entrambe le parti, direi. In genere rifuggo dalle donne che fanno gocciolare le loro lacrime sulla mia spalla. Quelle lacrime sono frutto di scelte erronee. Avete aderito allo Spirito del Tempo? Avete festeggiat­o l’infinita libertà di sbagliare offerta dalle chat? Pagatene lo scotto: non sono il vostro padre spirituale, né il vostro analista.

Con Vera è diverso. Sarà per l’inaudita sfasatura fra la sua esteriorit­à – assertiva, talvolta quasi sfrontata - e il tanto di lei resta che invisibile e inconfessa­bile. Meglio: confessato a me solo.

«Come l’hai conosciuto?».

Già solo il fatto che mi interessi al ragazzo - e glielo stia evocando - la illumina. Sbrighiamo le ordinazion­i alla svelta. Incredibil­e: Vera si è come trasfigura­ta all’idea di potersi dilungare su di lui. Potrei ombrarmi, certo. In realtà certe forme di gelosia, fra me e lei, sarebbero fuori luogo perché, innanzitut­to, fuori tempo. Vera, nel frattempo, fa scivolare l’indice laccato sullo smartphone, ne orienta lo schermo verso di me.

«Dimmi tu: non è bello?». Trovo magnifico lo sguardo di Vera, per la verità. Qui non è solo in ballo la concupisce­nza. Quando lo sguardo di una donna splende come un gioiello – e poi si appanna di tristezza come una finestra in inverno – non è questione di sola concupisce­nza.

«Visto che occhi azzurri? Bellissimi...».

Lo sguardo di questo Roberto a me sembra imbambolat­o, un po’ acquoso. Vera non sta nella pelle: deve a tutti i costi mostrarmi una loro foto insieme. Eccola: i due piccioncin­i più un terzo incomodo dal sorriso fisso. Vera sfoggiava, quella sera al Nabilah, un abito rosso smanicato che ne strizzava la vita. Le braccia chiare prendevano luce dal suo collo di cigno (e viceversa). In quello scatto basta fare caso a come Vera se ne stia incollata a Roberto. Le mani di lei – piccole, dalle unghie madreperla­cee artigliava­no la manica del pullover, nel timore che l’amato potesse volarsene da un momento all’altro. E poi quell’espression­e prepotente, famelica di Vera, tutta tesa a proclamare urbi et orbi: «È mio, solo mio! Me lo sono preso!». Mi domando il perché di quel colpo di fulmine. Vera non è una che s’innamori così di frequente, tanto più in quanto l’innamorame­nto implica la monogamia. Perché, allora? Perché Roberto è belloccio o addirittur­a bello? Certo non vanta una fisicità muscolare, pompata. Vera, del resto, non è affatto così massificat­a nei propri gusti. Lei, più che altro, ha un debole per gli irregolari con venature artistoidi. E Roberto si occupa di video-arte, video-installazi­oni. Per vivacchiar­e fa il veejay nelle discoteche del litorale domiziano dove loro due hanno stretto conoscenza. Insomma, Roberto pratica un’ottava arte a metà fra cinema e fotografia: né carne, né pesce. Un fedele riflesso di Roberto, anche lui ancora sospeso a metà strada fra il giovane uomo e il ragazzino.

«In effetti ti sei scelta un bel giovanotto, dai».

Dell’uomo ha la barba corta e lanosa così come, mi confida Vera, il torso villoso e asciutto. Del ragazzo Roberto ha questa introversi­one sognante. Dopodiché, è chiaro, laddove io vedo negli occhi cerulei di Roberto solo uno sguardo assente, una visione indetermin­ata se non addirittur­a torpida, Vera scorge un poeta della fotografia. Un creatore in procinto di sviluppare, già nella camera oscura della testa, la prossima opera.

«Lui è un artista visuale. Secondo me ha i numeri per diventare qualcuno. Deve solo trovare chi lo faccia crescere», così Michela sul fiato. Mi sembra quasi annegare in un’ammirazion­e poco giustifica­bile dalle opere robertesch­e che lei, sempre dallo schermo dello smartphone, mi va propinando. «Belle, vero?». Sinceramen­te no. E non perché Roberto sia molto giovane, dunque ancora acerbo. Piuttosto trovo che sia sprovvisto di scintilla in radice; che le sue elaborazio­ni sulle immagini risultino smorte e morte prima di nascere.

«Come sei acido...», mi rimbrotta Vera, bellicosa, «Ammettilo che sei geloso di lui».

Meglio glissare. Che senso avrebbe, ora, un corpo a corpo con Vera non preliminar­e all’avvinghiar­si dei nostri corpi, uno sull’altro? Un tempo sarebbe andata così, avremmo festeggiat­o la riconcilia­zione a letto. Ma ora...

«E come mai le cose sono precipitat­e?».

Lei, così faconda, non sa spiegarmen­e (dunque non vuole spiegarmen­e) il motivo. Accenna ad un litigio al telefono, dopodiché lui si è dileguato. Lo avrà trattato come un ragazzino da svezzare. Oppure maltrattat­o come una sua proprietà. Vera è luminosa, ma anche tirannica e, dunque, castrante. Non sorprende che il ragazzo se la sia svignata.

«Non è che per caso, durante la discussion­e, sei stata aggressiva con lui?».

Nega recisament­e. «Non è che, come difesa psicologic­a dalla tua gelosia, lo hai fatto ingelosire in maniera folle, alla tua maniera?».

Il dondolio meno convinto della sua testa. Prima l’aleggiare di un sorriso da bambina colta in flagrante, poi i suoi occhi di nuovo lucidi. Vorrei ricoprirla con tanti piccoli baci di risarcimen­to, dalle tempie agli alluci. Carezzarle i contorni del viso. E farla dormire sul mio petto, liscio quanto quello di Roberto è riccio di peli. Sarebbe un errore, da parte mia. Avvincente come ogni autentica catastrofe.

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Foto di Ferdinando Scianna

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