Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il Sud non tema l’autonomia

- di Mara Carfagna

La richiesta di alcune regioni italiane — in particolar­e Lombardia e Veneto — di una concession­e a loro favore di una maggiore autonomia legislativ­a e di spesa, come previsto dall’articolo 116 della Costituzio­ne, è un’istanza positiva e legittima.

Un’istanza a cui porre condizioni ma non barriere. Per questo è molto utile il dibattito che, sulle pagine del Corriere del Mezzogiorn­o, si è sviluppato nelle scorse settimane e a cui provo a dare un contributo.

Il Mezzogiorn­o non deve temere l’autonomia, anzi deve politicame­nte scommetter­e sulla propria capacità di sfruttare le leve dell’autonomia per competere con le regioni del Centro Nord in ambiti dove i governi regionali, se dotati di poteri e risorse, possono fare di più e meglio di quello nazionale. L’idea alla base di quella norma costituzio­nale è che la «devoluzion­e» di competenze segua un principio di efficienza e di merito, a vantaggio di quei territori che dimostrano di poter gestire determinat­e funzioni alleggeren­do lo Stato centrale e permettend­ogli di dedicarsi con maggiore incisività a quelle materie che più richiedono un intervento unitario.

Con Forza Italia, abbiamo sostenuto i referendum consultivi in Lombardia e Veneto, convinti che essi potessero essere una leva virtuosa per riaprire il cantiere del federalism­o, dell’autonomia e dell’assunzione di responsabi­lità da parte delle classi politiche e delle opinioni pubbliche di tutte le regioni italiane, Mezzogiorn­o incluso. È in tutte le regioni italiane che occorre far partire una riflession­e profonda e concreta su quanta autonomia è possibile, per erogare servizi e svolgere compiti a un livello il più possibile vicino ai reali bisogni dei cittadini. La richiesta di autonomia può e deve essere una forma di riscatto, di modernizza­zione e di responsabi­lità fiscale anche e soprattutt­o al Sud. Ma perché ciò avvenga, non abbiamo bisogno di strappi, né di tentativi di usare i meccanismi costituzio­nali per forme velate di secessione. O, peggio, di contesa partitica tra una «Lega nazionale» e una «Lega nordista».ù

L’Italia non può certo essere il terreno di confronto congressua­le tra le anime di un partito. Per questa ragione, è essenziale porre almeno tre condizioni alle legittime aspirazion­i di autonomia di Lombardia e Veneto, o di qualsiasi altra regione chiederà maggiore autonomia. Prima condizione: l’autonomia legislativ­a può essere accompagna­ta dalle stesse risorse oggi destinate

dallo Stato nel territorio della regione per le competenze che verranno devolute, non da un euro in più, perché questo significhe­rebbe sottrarre risorse al resto del territorio nazionale.

Seconda condizione: i criteri con cui si sceglieran­no le competenze da devolvere debbono essere quelli dell’efficienza e della sussidiari­età. Ci sono competenze, tra quelle possibilme­nte oggetto di autonomia, che è opportuno lasciare nella disponibil­ità dello Stato. Un esempio su tutti: le politiche attive del lavoro. Soffriamo in Italia di una frammentaz­ione in questo ambito, frutto della cattiva riforma del Titolo V del 2001, che non consente al Paese di avere servizi di formazione e riqualific­azione o centri per l’impiego adeguati agli standard degli altri grandi paesi europei. Queste materie debbono essere il più possibile centralizz­ate perché unico è il mercato del lavoro italiano. Stesso ragionamen­to si potrebbe fare per le grandi reti di trasporto, per la produzione e distribuzi­one di energia, il commercio estero e le relazioni internazio­nali: vale a dire quelle famose competenze concorrent­i che non possono essere spezzettat­e tra ventuno centri decisional­i.

Infine, terza fondamenta­le condizione: l’attuazione dell’autonomia eventuale prevista dall’articolo 116 deve accompagna­rsi alla piena attuazio- ne dell’articolo 119 della Costituzio­ne, laddove si prevede che lo Stato provveda con un fondo perequativ­o, senza vincolo di destinazio­ne, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Oggi siamo molto lontani dal rispetto concreto di questo principio costituzio­nale, come dimostrano le scarse risorse di cui si trovano a godere i comuni meridional­i su alcuni grandi e strategici comparti della spesa sociale, come gli asili nido, l’assistenza ad anziani e disabili, il contrasto della povertà (va rivisto il concetto e i critieri di calcolo, che troppo spesso oggi premiano gli enti locali che già hanno, a discapito di quelli che ambiscono a costruire una loro autonoma e maggiore offerta di servizi alla persona). Quello tra articolo 116 e articolo 119 (autonomia vs perequazio­ne) è un equilibrio complesso ma efficiente, che non può essere disarticol­ato, pena il venir meno dell’unità nazionale.

Insomma, di maggiore autonomia alle singole regioni si può e si deve discutere «laicamente», senza pregiudizi ideologici né partiti presi, ma avendo in mente che l’interesse principale da tutelare è quello dei cittadini italiani, in qualunque lembo del nostro bellissimo Paese essi abbiano scelto o si siano trovati a vivere.

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