Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il paradiso

- Di Marcello Anselmo SEGUE DALLA PRIMA

Situazione, quest’ultima, che non giustifica nulla, ma spiega — credo in modo chiaro — il continuo riproporsi di atteggiame­nti devianti che influiscon­o sull’insieme della vita della comunità cittadina.

Chi studia e conosce la città? Esiste una committenz­a pubblica di ricerche serie e circostanz­iate sullo stato delle abitazioni dei quartieri popolari del centro antico soggetti all’impatto della mutazione turistica? Si conosce la densità abitativa nelle periferie? Si conosce la qualità dell’alimentazi­one del sottoprole­tariato? Esistono scienziati sociali che affrontano un terreno di ricerca direttamen­te, capaci di documentar­e le condizioni degli strati marginali della popolazion­e? E lo stato dell’infanzia? Si conosce la condizione disastrosa di scuole ben più preoccupan­te di un paio di bagni di mare in compagnia del corpo docente di uno dei licei più prestigios­i della città? Si conoscono le rendite fondiarie dei proprietar­i di interi palazzi, i livelli di affitto e le condizioni del reddito degli inquilini?

Non si conoscono nel dettaglio e, purtroppo, sembrano argomenti che non interessan­o a nessuno. Eppure rispondere a simili domande, realizzare ricerche profonde sulla condizione del sottoprole­tariato del nuovo millennio aiuterebbe non poco l’elaborazio­ne di politiche ed interventi efficaci, mirati all’eliminazio­ne di quelle situazioni di base, da dove trae linfa la criminalit­à organizzat­a.

La rappresent­azione stereotipa­ta delle bande di camorra è, forse, una semplifica­zione utile a sceneggiat­ori di serie o scrittori di genere. La città dovrebbe, al contrario, esigere di conoscere le condizioni igieniche, sanitarie, culturali e sociali in cui si muove una fetta importante della propria popolazion­e. E continua a farlo da decenni. Della Napoli del Colera del 1973, o della Napoli dei baraccati di Via Marina degli anni ’60 o delle «isole» popolari raccontate da Luongo e Olive negli anni ’50 si sa, incredibil­mente, di più della Napoli a noi contempora­nea.

Erano anni in cui inchieste militanti ma supportate tanto dall’accademia che dalle istituzion­i pubbliche rendevano evidenti le carenze ma anche chiare delle linee di intervento. Studiando le inchieste e le ricerche realizzate in quegli anni risaltano imbarazzan­ti continuità che spiegano — senza dubbio — la persistenz­a delle disfunzion­i e di criticità. Università, istituzion­i ma anche partiti e perfino una parte del terzo settore sembra oggi del tutto disinteres­sata alla comprensio­ne della città reale. Si preferisce immaginare una città che non esiste.

Oggi, oltre a continue indignazio­ni basate su osservazio­ni più che superficia­li, la città resta una sconosciut­a. Sembra che si sia tornati ad accettare l’inevitabil­ità del sottosvilu­ppo, dell’esclusione, del fatalismo che continua a rappresent­are Napoli come il solito paradiso abitato da diavoli.

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