Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA STORIA CANCELLATA DAGLI ESAMI
L’anno scorso, nei giorni caldissimi che precedevano la pausa estiva, aveva suscitato grande sconcerto la notizia che il Consiglio regionale della Puglia, ad ampia maggioranza e ben presto imitato da altre amministrazioni meridionali, aveva istituito il 13 febbraio una “giornata della memoria per le vittime dell’Unità d’Italia” nel giorno della resa di Gaeta del 1861. Sebbene la scelta operata da un organo istituzionale della Repubblica Italiana di elevare a celebrazione pubblica civile la fine dell’indipendenza di una parte del suo territorio valicasse di gran lunga i confini tradizionali del rivendicazionismo filoborbonico, la vicenda, oltre a riaprire il confronto tra una rigorosa lettura storiografica e la diffusa semplificazione del confronto tra vittime e carnefici troppo spesso utilizzato per una lettura autoassolutoria della storia del Mezzogiorno, si collocava nel quadro di un sempre più frequente e distorto uso pubblico della storia a scopi di promozione del consenso. Una tendenza che trae vantaggio dalla continua divaricazione tra una cultura storica consapevole e un sistema della comunicazione dominato dal presentismo e dalla continua domanda di narrazioni del passato non poche volte acconciate alle esigenze – polemiche, ideologiche, politiche – di quel presentismo, alle quali risponde una divulgazione spesso corriva in cui le memorie si sostituiscono alle analisi critiche e il passato, plasmato dal ricordo, sostituisce gli storici con i testimoni e la rielaborazione culturale con la narrazione emotiva.
In questo quadro, ieri il Ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca ha comunicato le trasformazioni introdotte nel prossimo esame di maturità 2019. Le novità intervengono ancora una volta a trasformare, con pochi tratti di penna e senza alcuna visione di sistema, la prova finale di un percorso scolastico al quale docenti e allievi lavorano negli anni, parte vitale di un quadro amministrativo e organizzativo che i presidi, con il sostegno dei consigli di classe e di istituto, hanno faticosamente adeguato alle indicazioni della Buona Scuola.
Senza riuscire a resistere alla tentazione di marcare immediatamente la propria presenza, anche il ministro Bussetti ha cambiato il traguardo in corsa, modificando la prova finale e il meccanismo della valutazione.
Ma quel che ci sembra preoccupante, più che l’eliminazione del contestato uso delle prove Invalsi ai fini dell’ammissione alla maturità, è che la struttura dell’esame finale della vita scolastica italiana segni ancora una volta il visibile arretramento dello studio della storia. La scomparsa di una «traccia» dedicata alla storia tra quelle del tema di italiano e l’abolizione della terza prova nella quale si poteva trovare qualche spazio disciplinare per essa sono infatti solo il più recente segnale di una progressiva marginalizzazione dei saperi storici nel panorama formativo italiano che prelude a una cultura civile disancorata dalle proprie radici, pronta ad accogliere ogni narrazione del momento e a indebolire la tenuta civica di una comunità che ha reciso il rapporto tra presente e passato.
L’uso pubblico strumentale della storia ha infatti un effetto dirompente sulla costruzione delle memorie collettive e sulla strutturazione delle appartenenze culturali che, oggi più che mai, rendono possibili prospettive di incontro e spazi di condivisione delle quali ha bisogno ogni progetto di società aperta e culturalmente accogliente.
Quando Croce insegnava che la storia è sempre storia presente voleva consegnarla alla vita di una comunità e al suo bisogno di futuro in rapporto fondativo con il suo passato, non alle corrive esigenze della cronaca politica, che oggi pare che non ne avvertano neppure più il bisogno.