Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’accoglienza a Salvini e la sfida della fiducia
L’accoglienza festosa che Napoli ha riservato pochi giorni fa al ministro Salvini, protagonista in passato di qualche scaramuccia (diciamo così…) con il popolo di questa città, ripropone una domanda che è centrale nella vita politica e civile del Paese: di chi vi fidate davvero? Voglio dire, esiste una persona nella quale riponete assoluta fiducia, nelle cui mani mettereste il vostro cuore, il vostro portafogli o addirittura la vostra vita, senza un attimo di esitazione? La diffidenza è un sentimento naturale, perché è una sorta di campanello d’allarme che ci invita a riflettere prima di prendere decisioni che potrebbero poi rivelarsi avventate.
Tuttavia non c’è progetto condiviso che non ci imponga di stringere relazioni fiduciarie con altre persone e magari delegare loro cose importanti. Lo facciamo ogni giorno, per esempio quando saliamo su un mezzo di trasporto e affidiamo la nostra sicurezza, la nostra incolumità a uno sconosciuto. Lo facciamo quando entriamo in uno studio medico o in una sala operatoria. Lo facciamo, in definitiva, ogni volte che ci mettiamo nelle mani di un qualunque specialista: avvocato, meccanico, commercialista, idraulico, notaio. Insomma non passa giorno senza che affidiamo, in modo più o meno consapevole, la nostra vita, quella dei nostri cari, o più semplicemente i nostri beni, i nostri progetti nelle mani di qualcuno.
Eppure, ciononostante – fateci caso - fatichiamo a dire che ci fidiamo di molti altri, oltre che di noi stessi. Se proprio qualcuno ce lo chiede, difficilmente riusciamo ad allargare la rosa a una cifra superiore a quella delle dita di una mano.
Io non mi fido di nessuno. Più conosco gli uomini più amo gli animali, loro non ti tradiscono mai: quante volte lo abbiamo sentito dire? Magari qualche volta lo abbiamo detto proprio noi. A volte questo atteggiamento è solo temporaneo ed è figlio di una delusione o magari di un tradimento subito ad opera di un amico o di una persona amata. E questo più o meno è capitato a tutti nel corso della vita. Quando però questo atteggiamento diventa il nostro modo di vivere, e diffidiamo di chiunque, allora siamo in presenza di una vera e propria patologia. Una malattia che ha un nome: pisantropofobia.
C’è una storiella che ha per protagonista una persona affetta da questo disturbo che la spiega con una sintesi perfetta. Ed è questa. Uno scalatore scivola, mentre si arrampica sulla parete di una montagna e resta in bilico, tenuto alla roccia con una sola mano. Sotto i suoi piedi si apre un pauroso strapiombo. È solo. Comincia a urlare, a chiedere aiuto: qualcuno mi aiuti, grida. C’è qualcuno? Ma tutt’intorno è silenzio, si sente solo l’eco delle sue implorazioni. Quando ormai ha perso le speranze che qualcuno corra in suo soccorso, all’improvviso le nuvole si squarciano, esce fuori una lama di luce abbagliante e si sente una voce che sovrasta il silenzio della montagna e della valle. Sono Dio, dice la voce. Ti prego Signore aiutami, non voglio morire, implora l’alpinista. Va bene, risponde la voce, allora fa come ti dico: lasciati cadere e una schiera di angeli ti raccoglierà e ti depositerà a fondo valle sano e salvo. Silenzio. L’uomo dà un’occhiata al baratro sotto i suoi piedi e urla: c’è qualcun altro?
Ecco: questa storiella descrive un malato di pisantropofobia, una persona che ha sofferto a causa dei comportamenti altrui e, nel timore di rivivere quell’esperienza dolorosa, non riesce più a credere a nessuno.
Neppure a Dio, al quale pure si era rivolto, disperato. Una malattia simile, non ancora codificata sul piano sociologico, è quella che sembra averci afferrato tutti, da una decina di anni a questa parte. Per la precisione da quando alcuni istituti finanziari internazionali (e alcuni istituti bancari del nostro paese) tradirono la nostra fiducia di risparmiatori e ci rifilarono titoli spazzatura. In quella mostruosa fornace, insieme ai risparmi di milioni di poveracci e pensionati bruciò anche la nostra fiducia nell’economia, nella politica (percepita come sua propaggine), nello stato e nelle istituzioni. A volte si trattava di una giusta diffidenza, a volte no. Il fatto è che, alla fine di quel percorso a ostacoli che sono stati gli ultimi dieci anni, nel colossale incendio che si è spento solo da poco sono andate in fumo anche le nostre speranze.
Paura, diffidenza e disincanto sono dunque più che comprensibili. Una volta che ti ha morso un serpente ti spaventa anche un millepiedi, dice un vecchio proverbio africano. Ma senza spezzare il meccanismo paralizzante della paura non c’è possibilità di riattivare alcuna fiducia. E non esiste ripresa, non c’è progetto condiviso che non abbia bisogno del ricorso all’altro. La sfiducia, la stanchezza e il disincanto costituiscono il terreno di coltura degli stati autoritari, ha scritto qualche tempo fa in un suo commento padre Enzo Bianchi. La fiducia è alla base della delega. E delegare è il principio fondante della democrazia: è quello che facciamo ogni volta che andiamo a votare. È come se dicessimo: affido a te la mia voce e i miei progetti. Ecco, affidare e fidarsi hanno la stessa matrice.
Ernest Hemingway diceva che il modo migliore di scoprire se possiamo fidarci di qualcuno è quello di dargli fiducia. Napoli, giorni fa, è sembrata fidarsi di Salvini nonostante i trascorsi turbolenti. Ha fatto bene? Ha fatto male? A rispondere saranno gli atti concreti che, eventualmente, il vice premier adotterà a favore di una città che di chiacchiere ne ha già ascoltate troppe.