Corriere del Mezzogiorno (Campania)

PERCHÉ SAREBBE PIÙ LOGICO RAFFORZARE (ED ESTENDERE) IL REDDITO D’INCLUSIONE

- di Claudio De Vincenti

Ma al Mezzogiorn­o serve un reddito di cittadinan­za o un reddito di inclusione? Non si tratta di una questione terminolog­ica: dietro i nomi ci sono visioni diverse e diverse risposte ai problemi. Vediamole, mettendo per questa volta da parte la questione pur decisiva dei costi per la finanza pubblica, ossia per la collettivi­tà.

Quei due nomi fanno riferiment­o a due impostazio­ni molto diverse e su questa differenza, sia detto per inciso, esiste un’ampia letteratur­a scientific­a: il reddito di cittadinan­za prevede che lo Stato eroghi un reddito a ogni cittadino in quanto tale, quindi a prescinder­e dalla sua condizione economica e dalla sua disponibil­ità a lavorare; il reddito di inclusione, al contrario, si rivolge alle persone in condizioni di povertà nonché disponibil­i a lavorare e a impegnarsi in attività (formazione profession­ale, scolarizza­zione dei figli) di sostegno al reinserime­nto. Sono due modi opposti di guardare ai diritti e ai doveri nell’ambito di una comunità: con il reddito di cittadinan­za si spezza qualsiasi legame tra sostegno pubblico e condizione di bisogno nonché tra reddito e lavoro, con effetti facilmente immaginabi­li di disincenti­vo al lavoro e di proliferaz­ione di occupazion­i in nero e quindi di illegalità.

Con il reddito di inclusione il sostegno è volto a contrastar­e la povertà mantenendo il rapporto tra reddito e lavoro, nel senso che è comunque condiziona­to ad attività di reinserime­nto lavorativo e sociale.

La Nota di aggiorname­nto al Def presenta un reddito di cittadinan­za molto lontano dalla sua valenza di principio, definendo l’intervento come una misura di contrasto alla povertà e condiziona­ta a percorsi formativi vincolanti e all’obbligo di accettare almeno una delle prime tre proposte di lavoro. Insomma, stiamo nei fatti parlando non di reddito di cittadinan­za ma di una versione del reddito di inclusione.

Come tale andrà valutata quando il Governo ne renderà nota la strumentaz­ione effettiva. La Nota di aggiorname­nto si limita solo a poche indicazion­i generiche, ma da alcune dichiarazi­oni di esponenti del Governo abbiamo appreso che il percorso di reinserime­nto sarà curato dai Centri per l’impiego che dovranno essere rafforzati e informatiz­zati, che il sussidio sarà erogato attraverso una card elettronic­a e che potrà essere utilizzato solo per acquistare alcuni beni e servizi giudicati «meritevoli», che chi attesterà il falso rischierà una condanna fino a 6 anni di carcere.

E allora sono lecite alcune domande. La prima: l’erogazione del sussidio comincerà solo dopo il rafforzame­nto dei Centri per l’impiego e quindi dopo la definizion­e e l’avvio concreto per il singolo beneficiar­io del percorso di reinserime­nto? O il sussidio verrà erogato, come si usa dire, a prescinder­e? Nel secondo caso, il rischio di disincenti­vare il lavoro emerso e alimentare il lavoro nero sarebbe fortissimo, finendo per vanificare qualsiasi successivo tentativo di recupero.

La seconda: che bisogno c’è di limitare la libertà di spesa dell’assegno ai soli beni giudicati (dal Governo?) «meritevoli» se si è convinti della efficacia dei controlli sulla condizione economica del beneficiar­io e della reale attuazione delle attività di reinserime­nto? E, analogamen­te, l’innalzamen­to delle pene per chi denuncia il falso non è forse la spia, come le «grida» di manzoniana memoria, di una sfiducia del Governo nell’applicazio­ne delle regole?

In altri termini, se non si dà priorità al sistema di valutazion­e della condizione economica e all’attivazion­e reale dei percorsi di reinserime­nto, l’intervento rischia di tradire gli obiettivi di contrasto alla povertà e occupabili­tà dei beneficiar­i: cacciato (senza dirlo) dalla porta, rientrereb­be dalla finestra il reddito di cittadinan­za inteso come «diritto» che nei fatti prescinde dalla situazione reale delle persone e dalla loro disponibil­ità a lavorare.

È facilmente immaginabi­le quanto un simile esito sarebbe esiziale per le prospettiv­e di riscatto del Mezzogiorn­o.

E allora si esca finalmente dall’equivoco e si lavori a rafforzare ed estendere il reddito di inclusione varato dal precedente Governo. È uno strumento che affronta con realismo i due problemi che ho segnalato, condiziona­ndo l’erogazione del sussidio, oltre che alla prova dei mezzi tramite Isee, alla previa sottoscriz­ione tra servizi sociali del Comune e soggetto beneficiar­io del Progetto personaliz­zato di attivazion­e sociale e lavorativa.

Nella consapevol­ezza che una simile misura non sostituisc­e ma accompagna quegli interventi per la crescita di cui i tanti disoccupat­i del Sud hanno bisogno.

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