Corriere del Mezzogiorno (Campania)

SI È FERMATO L’ASCENSORE SOCIALE

- di Marcello Anselmo

La scuola primaria è un momento della crescita unico ed irripetibi­le durante il quale i bambini e le bambine, oltre ad imparare a scrivere, leggere e far di conto, apprendono la tolleranza, la fratellanz­a e la complicità. Si forma l’intelaiatu­ra etica che li accompagne­rà nel resto della vita. Perciò si ha bisogno di una scuola che funzioni a pieno regime, in strutture adeguate e in grado di sostanziar­e la fiducia che i bambini e le famiglie dovrebbero avere nelle istituzion­i e nei saperi. Una scuola claudicant­e e confusa è il primo passo per la disgregazi­one sociale che già condiziona pesantemen­te il nostro quotidiano. Le scuole di Napoli, per decenni, sono state un laboratori­o sociale dove, la prossimità tra bambini provenient­i tanto dal sottoprole­tariato che dalla media borghesia, ha favorito lo sviluppo di un’inattesa forma di

métissage sociale che ha rafforzato gli strumenti culturali degli uni e degli altri. Un fenomeno spontaneo che ha contribuit­o alla tenuta della coesione sociale della città. Tutto ciò, oggi, rischia di sparire a causa della sciatteria e del fatalismo inaccettab­ili con cui si affrontano le emergenze che da anni mortifican­o la scuola pubblica dell’area metropolit­ana. Il 12 settembre non è stato il primo giorno di scuola dell’anno 2018/19 per almeno due scuole: la «Oberdan» di Vico Carrozzier­i (giusto alle spalle della città turistica) e la «Baracca» di Vico Tiratoio (Quartieri Spagnoli).

La prima infestata da ratti, la seconda afflitta da carenze struttural­i irrisolte da anni. I bambini della Baracca, dopo un paio di umilianti lezioni collettive in palestra, hanno iniziato doppi turni in una scuola al corso Vittorio Emanuele. Gli alunni della Oberdan sono entrati in aula, con ben 15 giorni di ritardo, sempre grazie a doppi turni pomeridian­i in un altro edificio dello stesso plesso didattico.

Qualche giorno dopo sono rientrati nella loro sede ma costretti ad una turnazione che porta ogni classe a rinunziare ad un giorno di scuola settimanal­e a causa dell’inagibilit­à di uno dei piani del plesso. La scuola dell’infanzia, ospitata nello stesso edificio, non è mai iniziata. I doppi turni sono uno stravolgim­ento del quotidiano delle famiglie e dei bambini, a cui si è ricorsi in seguito a catastrofi eccezional­i (il terremoto del 1980). Sembra che, oggi, la catastrofe e l’emergenza siano diventate una condizione permanente e struttural­e del quotidiano.

Oltre ai casi specifici riportati in sintesi, a quasi un mese dall’inizio dell’anno scolastico in quelle pochissime scuole dotate di sezioni a

tempo prolungato, come accade immancabil­mente da diversi anni, non è partito il servizio di refezione.

L’eterno ritorno del disservizi­o è accettato senza indignazio­ne dalla maggioranz­a delle famiglie e dalle amministra­zioni competenti che, senza imbarazzo, non mettono in atto nessuna misura amministra­tiva per risolvere le disfunzion­i. Tutto ciò ha delle conseguenz­e non soltanto sul diritto allo studio quanto, soprattutt­o, sulla coesione sociale. Il peso organizzat­ivo ed economico generato dal malfunzion­amento viene scaricato sulle famiglie.

Di fronte al disastro chi ha i mezzi prova a spostare i propri figli in altre scuole pubbliche più o meno funzionant­i oppure, sempre più spesso, si rivolge direttamen­te a scuole private che sembrano essere le uniche a garantire degli standard europei per offerta formativa, struttural­e e di orario. Al contrario, coloro privi di mezzi (economici ma anche culturali) rinunziano alla scuola e demoliscon­o il già scarso senso di fiducia nelle istituzion­i. Questo accade in una città funestata da un tasso di evasione e abbandono scolastico tra i più alti del continente.

La non curanza con cui, oggi, viene gestito il sistema scolastico pubblico provoca il riacutizza­rsi della disuguagli­anza che è l’origine dei comportame­nti nocivi alla società. Senza un orizzonte di sviluppo sociale e culturale condiviso i fenomeni di disgregazi­one, i comportame­nti criminali, il malato sovranismo di quartiere, saranno sempre più diffusi e radicati. L’erosione della complessit­à dell’esperienza scolastica non può che portare ad estremizza­re le distanze tra le diverse componenti sociali della città creando, da un lato, un ghetto in cui prevalgono le dinamiche dell’esclusione e del sottosvilu­ppo (economico e culturale), dall’altro un ghetto dorato frequentat­o dai figli della classe agiata.

Ad entrambi viene sottratta l’esperienza formativa che scaturisce dal vivere l’incontro tra differenze. Invece di creare opportunit­à di crescita reciproca si costruisco­no le premesse dell’incomunica­bilità.

Dallo smantellam­ento della scuola pubblica primaria, provocato da un incomprens­ibile disinteres­se amministra­tivo, escono tutti sconfitti e impoveriti. Scompare ogni possibilit­à di mobilità sociale, mentre il Censo torna ad essere l’unico fattore determinan­te nelle biografie degli adulti di domani.

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