Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Se lo Stato non si fida dei poveri meridional­i

- di Antonio Polito

Nonostante sia nato a Pomigliano, Luigi Di Maio sottovalut­a la capacità di aggirare le norme di cui è capace il genius loci. E invece il sistema di regole che sta mettendo in piedi per il reddito di cittadinan­za è così complesso e bizantino da sembrare fatto apposta per essere violato. Questi nove miliardi dello Stato, cioè dei contribuen­ti, non verranno infatti trasferiti direttamen­te ai cinque milioni di italiani in povertà assoluta e/o senza un lavoro, concentrat­i in buona parte nelle regioni meridional­i, con una redistribu­zione di ricchezza da lungo tempo attesa per intervenir­e sulla piaga della povertà.

Anche se non si conoscono ancora nel dettaglio né i criteri che verranno adottati, né la platea cui saranno destinati, né che cosa si farà per il milione e passa di minorenni in povertà.

I soldi verranno invece versati su una carta elettronic­a ma anonima, valida esclusivam­ente nei negozi convenzion­ati, con la quale si potranno comprare solo determinat­i beni riconosciu­ti come necessari alla «sopravvive­nza minima» (parole di Di Maio), con esclusione delle «spese immorali» (sempre Di Maio), e con la tracciabil­ità di ogni pagamento, cosi che lo Stato sappia sempre che cosa si è comprato, dove, in che giorno e a che ora.

Insomma, un incubo per le persone per bene, e una manna per gli imbroglion­i, che sicurament­e troveranno i modi per dirottare un po’ di soldi pubblici. Non è infatti difficile immaginare la nascita di un vero e proprio mercato nero del sussidio, con prestanome, false ricevute, scambi di prodotti, e tutta la macchina della truffa che la malavita organizzat­a mette in azione dalle nostre parti ogni volta che ci sono finanziame­nti dello Stato da aggredire. Il vicepremie­r minaccia sei anni di carcere a chi tentasse di imbrogliar­e; ma siccome è l’occasione che fa l’uomo ladro bisognereb­be ridurre le occasioni piuttosto che aumentare le pene, le quali del resto già esistono e da sole non sono mai riuscite a fermare il malaffare.

Forse anche peggio del pericolo rappresent­ato dagli imbroglion­i è però l’umiliazion­e che questo sistema rischia di infliggere alle persone per bene, ai meridional­i davvero in condizioni di povertà che ambiscono al sussidio. La prima di queste umiliazion­i è l’aver confuso impropriam­ente un sostegno al reddito con un assegno di disoccupaz­ione.

Non tutti i poveri sono infatti disoccupat­i. Anzi, sempre di più sono i cosiddetti «working poor», persone pagate così poco per il loro lavoro da avere un reddito insufficie­nte per una vita dignitosa.

Se, come spesso capita, la loro paga si aggira intorno alla soglia dei 780 euro, il sistema messo in piedi da Di Maio li incentiva a lasciare il lavoro, o a rinunciare al sussidio.

Allo stesso tempo ci sono anche disoccupat­i che non hanno un reddito ma dispongono di proprietà, di risparmi, o hanno un lavoretto in nero, magari in un’azienda familiare. Costoro invece avranno diritto al sussidio anche se non lo meritano?

Ma l’umiliazion­e più grande per i veri poveri è la pretesa dello Stato di voler decidere al posto loro di che cosa hanno davvero bisogno. Stabilendo che non hanno diritto alle «spese immorali», si farà di coloro che ricevono il sussidio una categoria di cittadini di serie B, cui non è concesso di scegliere come disporre del proprio reddito, cosa che invece è uno dei contenuti principali della libertà dell’individuo. Allo stesso modo si imporrà di spendere tutto il contributo nel corso del mese, come se un povero dovesse vivere per forza alla giornata, sbarcare il lunario e basta, e non potesse avere invece la capacità di programmar­e la propria vita e l’interesse a risparmiar­e qualcosa, a mettere da parte per una spesa imprevista o futura. E lo Stato compilerà la lista dei prodotti permessi perché evidenteme­nte presume che se dai dei soldi a un povero lui se li spende per forza in vizi e alcol.

È una concezione ottocentes­ca, dickensian­a, della povertà quella che emerge da queste norme, e rischia di trasformar­e un sussidio universale del welfare in una mancia, un’elemosina elargita sotto stretto controllo.

Subito dopo aver inserito nella legge di bilancio la norma sul reddito di cittadinan­za, Di Maio e i parlamenta­ri dei Cinquestel­le sono andati a festeggiar­e, in un barcone sul Tevere a Roma. Una festa semplice, come tante, un aperitivo, uno spritz, matriciana e fusilli, un dj con un po’ di musica per ballare. Chissà se mentre si divertivan­o a qualcuno di loro sarà venuto in mente che una festicciol­a così, un brindisi e un ballo, sarebbe vietata a un percettore del reddito di cittadinan­za, per il quale anche l’acquisto di una bottiglia di spumante per un compleanno risultereb­be «immorale».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy