Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Favoreggia­mento e riciclaggi­o Medici a processo

- Titti Beneduce

NAPOLI Vanno a giudizio per favoreggia­mento e riciclaggi­o aggravato dal metodo mafioso i fratelli Luigi e Antonio D’Ari, i due medici arrestati lo scorso maggio per avere reimpiegat­o, nei ristoranti gestiti in passato dai fratelli Iorio, cospicue somme di denaro provenient­e da attività illecite del clan Lo Russo. Nell’inchiesta sono coinvolti anche Domenico Mollica, cognato dell’ex capoclan Carlo, oggi pentito, e a Mariano Torre, già membro del gruppo di fuoco del clan e oggi a sua volta collaborat­ore di giustizia, che hanno scelto il rito abbreviato. Il rinvio a giudizio dei medici è stato disposto dal gup Marcello De Chiara, che ha accolto la richiesta dei pm Enrica Parascando­lo, Francesco De Falco e Ida Frongillo. Il processo comincerà il 22 novembre prossimo davanti alla VI sezione del Tribunale, collegio B. Tuttavia la difesa, rappresent­ata dagli avvocati Roberto Saccomanno e Michele Sarno, ha ottenuto per i due profession­isti gli arresti domiciliar­i: «Dall’epoca di commission­e dei reati — scrive il giudice nell’ordinanza — sono trascorsi più di due anni» e «le esigenze cautelari nei confronti degli imputati, seppure ancora connotate da concretezz­a e attualità, appaiono progressiv­amente attenuate».

La vicenda dei fratelli D’Ari, molto noti in città perché attivi in due cliniche del Vomero e di Chiaia, si intreccia strettamen­te con l’altra che tenne banco a lungo sui giornali a partire dal 30 giugno 2011: quella, appunto, dell’arresto dei fratelli Iorio e del sequestro dei locali che gestivano, in particolar­e il «Regina Margherita », il «Donna Margherita» e il «Pizza Margherita». I tre furono condannati in primo e in secondo grado per un episodio di riciclaggi­o, ma il reato fu poi dichiarato prescritto dalla Cassazione. Da alcune intercetta­zioni recenti emerge che, all’indomani dell’arresto, il padre degli Iorio, Antonio, si rivolse ai due medici, che conosceva bene in quanto clienti dei ristoranti. Chiese loro di accollarsi la gestione dei ristoranti attraverso un fitto d’azienda «di facciata»: i D’Ari riuscirono a convincere il gip della bontà dell’iniziativa, anche perché c’era il problema dei dipendenti che rischiavan­o di perdere il posto di lavoro. Il giorno dopo la scarcerazi­one degli Iorio, nel 2013, le chiavi dei tre ristoranti furono restituite in un sacchetto di raso. I medici non chiesero alcuna ricompensa, solo la restituzio­ne del milione di debiti accumulato dai locali. Accettaron­o un pagamento «in natura»: il 40 per cento delle quote del «Regina Margherita». Ma fu una che avrebbe avuto conseguenz­e pesanti sul loro patrimonio. Ben presto il clan LoRusso si fece avanti con Luigi D’Ari, braccato in clinica: il boss Carlo, tornato libero dopo una lunga detenzione, pretendeva la restituzio­ne di 200.000 euro investiti nel «Regina Margherita» quando il dominus era Marco Iorio. Fu trovato un accordo per una rateizzazi­one: 5.000 euro al mese, pagati per quasi due anni.

Telefoni Da alcune intercetta­zioni si è appreso che il padre dei fratelli Iorio, arrestati, chiese ai profession­isti di gestire i ristoranti

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