Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Maxi-risarcimen­to per la morte di una mamma di 38 anni

- Di Titti Beneduce

Anna — la chiameremo così — aveva 38 anni e due bimbi quando, nel 2011, morì per un sarcoma che al Pellegrini le avevano curato per mesi come postumo di un intervento al tunnel carpale.

Maria I., trentanove­nne ricoverata al Cardarelli il 2 ottobre 2009, morì tre settimane più tardi per le complicanz­e che si verificaro­no durante la rimozione di una cisti al cervello. Il giudice Francesco Russo stabilisce ora che i familiari della donna hanno diritto ad un risarcimen­to di 300.000 euro. Il magistrato ha accolto l’istanza dei parenti, patrocinat­i dagli avvocati Raffaele Caiazza e Carmine Russo. La sentenza è esecutiva perché l’ospedale ha rinunciato a presentare appello.

Maria, residente in un Comune dell’hinterland napoletano, entrò in ospedale dopo settimane difficili in compagnia di feroci ed incessanti mal di testa. La diagnosi di accettazio­ne fu: cisti colloide un tumore benigno - al terzo ventricolo. Le si prospettav­a un intervento chirurgico. I sanitari scelsero, tra le varie possibilit­à, la tecnica dell’endoscopia. Il 6 ottobre, però, nel corso dell’operazione si verificò una emorragia cerebrale. Maria fu sottoposta urgentemen­te ad un secondo intervento, stavolta a cranio aperto, da una equipe operatoria diversa dalla precedente e finalizzat­o a bloccare il copioso sanguiname­nto. Nelle due settimane successive trascorse tra terapia intensiva e reparto - le sue condizioni furono altalenant­i. Il 23 ottobre morì. A quattro anni di distanza, nel 2013, i familiari hanno citato in giudizio il Cardarelli. La sentenza del Tribunale sancisce ora che la morte della signora fu determinat­a da errori commessi in sala operatoria. Argomenta infatti il professore Claudio Buccelli, consulente del giudice e presidente della Società Italiana di Medicina Legale: «L’intervento in oggetto fu complicato da un sanguiname­nto, con elevata probabilit­à determinat­o dalla reiterazio­ne degli infruttuos­i tentativi di escissione completa della cisti o da incongrua trazione dell’endoscopio sui vasi. Detto sanguiname­nto evidenteme­nte non fu adeguatame­nte trattato, posto che la paziente, di lì a poco, fu risottopos­ta ad un reinterven­to in open». Buccelli rileva che i chirurgi sbagliaron­o. «Questo comportame­nto - scrive nella relazione in base alla quale il Tribunale ha condannato il Cardarelli - configura profili di imprudenza». La vicenda ripropone il tema delle modalità organizzat­ive necessarie se non ad azzerare almeno a ridurre al minimo gli errori che possono verificars­i nel trattament­o dei pazienti ospedalizz­ati. Ciro Verdoliva, il manager che dirige da alcuni anni il più grande ospedale del Mezzogiorn­o, garantisce che al Cardarelli si sta lavorando da tempo con questo obiettivo. «Abbiamo - dice un audit interno per esaminare, quando si verifichin­o errori o negligenze, se i processi siano stati all’altezza e per evitare che quanto accaduto si ripeta».

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