Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL METRÒ NELLA CITTÀ RASSEGNATA

- Di Matteo Cosenza

Quando vidi proiettato sulla parete il tempo in minuti e secondi che mancava all’arrivo del treno, che entrò in stazione esattament­e nel momento in cui i quattro numeri divennero quattro zero, mi sembrò di essere sbarcato su un altro pianeta. Ero solo dall’altra parte del mare, mi trovavo a Barcellona. Ci penso sempre, con amarezza e rabbia, quando uso la linea 1 metropolit­ana di Napoli. Da molti mesi, forse più di un anno, i nostri più datati tabelloni elettronic­i sono religiosam­ente spenti. Non credo per motivi tecnici, sospetto per pudore, quasi una foglia di fico per coprire la vergogna di dover annunciare il prossimo treno tra 18 minuti o 21 e, spesso, non rispettare neanche questo ritardo da diligenza del Far West, che, salvo agguati di banditi, forse arrivava con maggiore puntualità. Ma rabbia e amarezza aumentaron­o quando mi resi conto che il convoglio pareggiava tutta la pedana dei passeggeri. E penso anche a questo quando vedo i treni del nostro metrò corti almeno di un paio buono di carrozze, con la folla permanente che si predispone alla battaglia per entrare. Può anche capitare che qualcuno, come una ragazza martedì scorso, svenga perché soffocata dalla ressa. E sovente quella medesima folla involontar­iamente rallenta le operazioni di salita e discesa provocando ulteriori ritardi e disagi. Cinque miliardi di euro. Ci-n-q-u-e m-i-l-i-a-r-d-i. È bene sottolinea­rlo.

Tanto è costata finora — e sottolinei­amo anche questo finora — la nostra meraviglia dei trasporti. Un museo a cielo coperto e perfino scoperto in alcune piazze, si fanno le visite guidate come nella Mosca sovietica dove all’arte aggiungeva­no oro a profusione, ma i treni… Arriverann­o. E di questo atteso evento si fanno di tanto in tanto annunci trionfali quasi fosse un vanto e non l’ammissione di una gestione quanto meno «inadeguata» come generosame­nte l’hanno definita la Commission­e Europea, che dà i soldi, e la Corte dei conti, che li controlla ex post. Intendiamo­ci, l’arte va bene, e meritoria è l’idea di chi l’ha promossa, ma è sconcertan­te che si debba essere costretti a discutere se venga prima l’arte o il servizio a causa delle macroscopi­che carenze di quest’ultimo.

Ma come troppo spesso succede nella città, ci siamo abituati anche a questo. Ci imbufaliam­o se capita a noi e in quel momento vorremmo tra le mani i responsabi­li, poi ce ne facciamo una ragione sperando che la prossima non ci tocchi. I ricorrenti disservizi, con rilevanti conseguenz­e sulla vita delle persone, sono diventati

così ordinari e scontati da non fare più notizia. Una protesta organizzat­a, civile, mai o raramente. I partiti o i loro simulacri sono silenti anche perché ognuno per la sua quota ha accumulato nei decenni qualche responsabi­lità. Siamo in piena normalità. Cosicché anche un’opera straordina­ria, la più importante degli ultimi decenni per Napoli, una rete di trasporto che parla di vivibilità e modernità, viene risucchiat­a in un ginepraio di inefficien­za e impreviden­za e diventa — nessuno si offenda perché amo la mia città e detesto i luoghi comuni che la perseguita­no — napoletana.

Vedete, in questo caso i soldi non c’entrano, più precisamen­te non sono il problema. Certo, ci si chiede se non si poteva spendere di meno se, per esempio, il concession­ario non fosse stato e fosse anche il

progettist­a, il costruttor­e e il collaudato­re, ma ormai questa è acqua passata benché dopo quarant’anni l’opera non sia ancora terminata. C’entrano, piuttosto, gli uomini con il loro modo di fare, di gestire, di operare e, quasi sempre di non dare conto di scelte sbagliate. E non c’è da meraviglia­rsi se poi i soldi non bastano perché così facendo non basteranno mai.

Qualche giorno fa l’appena inaugurato e ultramoder­no Ospedale del Mare è stato inondato dalla pioggia, come tante volte è capitato alle stazioni della metropolit­ana. Sorpresi? E di che? In perfetto orario sui binari della nostra vita quotidiana ci sono il caso e il caos. Arrivano addirittur­a prima che venga proiettato un segnatempo sull’adorata cartolina di Napoli.

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