Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Teatro in lutto, addio a Carlo Giuffré

- Bojano, Fondi

«Eravamo amici e ci stimavamo tanto anche se ci dividevano trent’anni di storia. Con lui, grandissim­o attore, se ne va via l’unica grande famiglia teatrale che ci era rimasta». È molto triste Vincenzo Salemme per la scomparsa di Carlo Giuffré, con cui aveva condiviso parte della strada artistica, non ultima quella «eduardiana», sin da «I casi sono due».

Giuffré aveva recitato nell’ultimo film di Salemme, con Tosca D’Aquino e Serena Autieri, «Se mi lasci non vale». In questa commedia recitava la parte del papà di Paolo (Calabresi). «Un papà che doveva essere un po’ svanitello e lui ha reso questa parte in maniera perfetta dando al personaggi­o la tenerezza, la sagacia e l’arguzia giusta, con un tocco di malinconia». Che forse contraddis­tingueva anche la sua vita.

«Amava moltissimo il suo lavoro e ne parlava spessissim­o, anche a tavola - ricorda Salemme - e ci teneva tanto al pubblico a piacere al suo pubblico. Ricordo che una volta, quando si usava dare dei voti a teatro, contò 586 sì su 587 spettatori. Voleva sapere a tutti i costi l’identità di quell’unico no. Lui e Aldo erano molto amati e insieme facevano grandi cose, ma anche quando non lavorarono più in duo rimasero per tutti una delle coppie teatrali preferite dal pubblico».

Ma la carriera di Carlo fece faville anche al cinema, anche se i critici puristi storsero più di una volta il naso rispetto alle sue partecipaz­ioni nelle cosiddette commedie sexy all’italiana degli anni ‘70, che peraltro lo resero molto popolare.

«È vero - ricorda Salemme - ma sottovalut­arono la sua bravura di attore anche in quel tipo di film. Lui aveva un tocco teatrale inconfondi­bile, non quello da “trombone”, però, ma quello moderno, naturale, asciutto». Insomma ciò che dovrebbe essere sempre un attore non solo teatrale. E lui era uno fra i migliori in circolazio­ne.

«La sua scomparsa ci dice che purtroppo è finita un’epoca, è il segnale che è cambiato un mondo, che ora è più legato all’individual­ità. Stiamo perdendo di vista il concetto di famiglia (anche teatrale) che lui incarnava fra gli ultimi. La famiglia intendo come gruppo di persone non solo unite da legami di sangue, grazie anche a delle politiche che la famiglia non l’aiutano per niente. Prima erano le famiglie che viaggia per fare teatro e che ora non ci sono più. Con loro sta scomparend­o quel nomadismo che rendeva la nostra profession­e, la figura di un attore, sicurament­e più evocativa di quel che è ora che non esiste più. Quell’idea di teatro, quel sogno che ci invitava a viaggiare insieme e insieme a stare lontani da casa anche per un anno. Un mondo, un circo bohémien che non tornerà più, ma che - ricorda Salemme - nonostante si soffrisse eccome, era romantico, poetico». E uno degli ultimi rappresent­anti di quella poesia era proprio Carlo Giuffré.

Se non ci fosse stato il Teatro, non avrei saputo fare altro. Il Teatro è tutta la mia vita. Pensate che a casa barcollo, m’ingobbisco, mi annoio, ma in teatro ritrovo il passo. È un’altra storia. In scena si guarisce. E poi sapete che vi dico: gli attori vivono più a lungo, perché vivendo anche le vite degli altri, le aggiungono alle loro

Carlo Giuffré

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 ??  ?? Erede Vincenzo Salemme in teatro, per molti rappresent­a la continuità della grande scuola napoletana iniziata con Scarpetta
Erede Vincenzo Salemme in teatro, per molti rappresent­a la continuità della grande scuola napoletana iniziata con Scarpetta

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