Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’eccidio di Caiazzo non fu un episodio isolato

- Di Angelo Agrippa

L’eccidio di Caiazzo, nel quale persero la vita 22 civili, tra cui 15 tra donne e bambini, è come se non si fosse consumato nell’arco di una data, vale a dire in quel terribile 13 ottobre del 1943, quando un plotone di soldati della Wermacht, comandato dal sottotenen­te Wolfgang Lehnigk-Emden e dal sergente Kurt Schuster, uccise i componenti di due famiglie di contadini sul monte Carmignano; ma la sua tragica e silente scia è durata oltre quarant’anni, allungando in questo tempo le sue ombre sui racconti che si sono affastella­ti nella memoria collettiva.

È durato davvero tanto il silenzio dei tribunali italiani prima che il fascicolo sulla strage saltasse fuori grazie alla determinaz­ione di Joseph Agnone, l’uomo-chiave della intera vicenda storico-giudiziari­a che ne è seguita e che ha portato alla condanna all’ergastolo dei due responsabi­li. Originario di Castel di Sasso, paese vicino a Caiazzo, Agnone scoprì in un archivio del dipartimen­to Usa il cosiddetto «Dossier di Algeri», vale a dire gli atti prodotti nella capitale algerina da una commission­e di inchiesta militare americana sulla strage, trasmetten­dolo successiva­mente alla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Per decenni anche i familiari delle vittime si sono chiusi in una composta e silenziosa rassegnazi­one. Paolo Albano, pm nel processo contro i due soldati tedeschi, in un suo libro-testimonia­nza pubblicato pochi anni fa assegna a quella scelta — che appare quasi una inspiegabi­le rinuncia ad ottenere giustizia — una ragione ben precisa, dettata dal pudore di ravvivare il ricordo non soltanto della efferata rappresagl­ia tedesca, ma degli abusi che avrebbero subito le donne prima di essere uccise.

Nicola Sorbo, ex sindaco di Caiazzo negli anni ‘90 , è stato tra i principali protagonis­ti della stagione del disvelamen­to (fu lui a proporre, per chiudere ogni ferita, il gemellaggi­o con Ochtendung, la città tedesca dove risiedeva l’ex sottotenen­te Emden) e della ricostruzi­one storica (grazie anche all’impegno appassiona­to di Giuseppe Capobianco, l’ex sindacalis­ta comunista che impresse una accelerazi­one decisiva alle ricerche). Ora Sorbo ha deciso di raccontare in un interessan­te volume, Tra memoria e oblio - L’eccidio di Caiazzo (Edizioni 2000dicias­sette), la sua versione dei fatti, soffermand­osi su ciò che le inchieste giudiziari­e non sono riuscite ad ottenere. «Mi resi conto — scrive Sorbo, facendo riferiment­o al verdetto emesso dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere — dei limiti di quella sentenza: aveva sancito la responsabi­lità personale degli imputati, ma non aveva restituito a quel delitto una storia, un come, un perché».

Sorbo contesta, per esempio, alla Corte di aver assegnato una definizion­e riduttiva al massacro del monte Carmignano: di episodio singolo e non connesso a tutte le altre azioni sanguinari­e compiute dai tedeschi in ritirata, svilen-

Sentenza «Viene accertata la colpa dei due militari ma non la causa dell’ eccidio»

do, di fatto, la «tragica verità della occupazion­e nazista in Terra di Lavoro». E aggiunge che i giudici avrebbero preso in consideraz­ione le testimonia­nze di chi era accorso sul posto della strage il giorno dopo, anziché concentrar­si sulla relazione di un medico americano che aveva esaminato i cadaveri. Nega, infine, che sussistano documentaz­ioni incontrove­rtibili a conferma degli abusi subiti dalle donne.

Insomma, secondo la traiettori­a di ricerca seguita da Sorbo – ma non secondo la verità giudiziari­a – il rischio vero è che venga riproposta una versione ridondante della strage di Caiazzo: «Ad oltre venti anni — sostiene — dai processi di Coblenza e di Santa Maria Capua Vetere, perdurano nella memoria collettiva ricostruzi­oni fantasiose che non hanno permesso, soprattutt­o tra i miei concittadi­ni, di raggiunger­e la piena consapevol­ezza su quanto accadde a Caiazzo nell’ottobre 1943».

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La copertina del libro di Nicola Sorbo

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