Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’arte del caffè on the road: in giro con la cuccuma tra gli applausi dei turisti
Grazie ad un prestito della Caritas s’è inventato un lavoro «Vengo dai Quartieri e la mia bici-bar mi aiuta a rigare dritto»
Giuseppe Schisano ha occhi che sorridono e gambe buone per pedalare e andare lontano con il suo sogno. Quello di lasciarsi alle spalle i Quartieri Spagnoli, le amicizie che fanno vacillare gli animi più fermi e di avere una piccola impresa tutta sua. Giuseppe è il titolare di «Don Cafè», un banchetto itinerante dove si serve caffé preparato con la «napoletana». Grazie alla sua creatività — e al supporto ricevuto dall’associazione “IFImparare.fare” di Marco Rossi-Doria nell’ambito del progetto «Cambia» — è riuscito a realizzare un progetto originale che ruota intorno ad una cargo-bike, una bicicletta con pedalata assistita su cui è montato un piano d’acciaio con un fornello a gas omologato. Giuseppe pedala da un lato all’altro del centro, intercetta clienti e serve il caffè.
«Don Cafè. Street art coffee» si legge sul fianco del suo banchetto, una impresa messa su con un finanziamento avallato dalla Caritas. Si chiama «Prestito della speranza», per un totale di 13 mila euro, grazie al quale sono state superate le barriere d’accesso al microcredito classico, impossibile da ottenere in mancanza di risorse e garanzie. Una sfida vinta anche grazie all’associazione Vobis (Volontari Bancari per le Iniziative nel sociale) e all’imprenditore Michele Maresca, che ha sostenuto il progetto individuando insieme a Giuseppe la giusta miscela per un caffé impareggiabile. Giuseppe ha così aperto la partita Iva, ha il Rec, il libretto sanitario e ottenuto i requisiti tecnico-professionali per fare un’impresa legale e di qualità.
Giuseppe nasce nei vicoli, a pochi passi dal teatro Nuovo. Il papà muore quando lui è ancora piccolo, ha appena 13 anni, e la mamma resta a gestire quattro figli. «Non so neanche io come ha fatto e come ancora fa. È una casalinga senza reddito» racconta lui, che ha 25 anni, due fratelli più grandi già sposati e un fratello più piccolo che vive ancora come lui nella casa familiare. Finite le scuole medie con il progetto Chance, Giuseppe si ferma.. I bar sono un punto di riferimento per incominciare a guadagnare qualcosa anche senza competenze specifiche: incomincia portando i caffè negli uffici, poi si cimenta alla macchina. «Un solo anno di contributi, sette di lavoro fra la City e Posillipo, amicizie alla porta che ti volevano portare fuori strada — ricorda lui — e il pensiero di dover fare qualcosa per andare avanti. Avevo una idea mia, volevo realizzare una impresa pure se piccola, ma sono un soggetto non bancabile. Mi seguiva l’associazione If e attraverso la Caritas ho avuto 13 mila euro. E così ora ho il mio bar ambulante. Caffè con la cuccuma, come si fa- ceva una volta, e sfogliatelle».
Giuseppe lo ammette senza troppe reticenze. «In certe zone della città è più facile sbagliare che fare bene. Se uno ne vuole uscire non c’è che la volontà — dice —. Tentazioni ce ne saranno sempre, ma io ho scelto da piccolino. E poi ho già sbagliato, anche se non ho precedenti. Diciamo che mi sono adeguato ad un sistema di cose: ho smesso da adolescente di andare a scuola, ho fatto amicizie poco esemplari. Ma ho anche denunciato su Youtube con un video quando sono stato accoltellato. Diciamo che quando ai Quartieri vacilli c’è sempre qualcuno pronto ad approfittarne. Adesso penso a guadagnare e a costruirmi un futuro. A rigare dritto e a conquistare la vita rispettando il prossimo. Già sto lavorando: giro per le strade di Napoli. Sono un itinerante, una sorpresa: i turisti applaudono a questa idea. In fondo negli Stati Uniti ci sono i truck, questa è la stessa cosa ma in piccolo».
Marco Rossi Doria, presidente di If, ricorda l’impegno profuso per «sostenere coloro che lavorano onestamente in condizioni drammatiche e che hanno il sogno di aprire un’attività propria, da soli o con i loro amici. Penso da tempo che queste persone siano una risorsa straordinaria per Napoli e per l’Italia — dice — perché possono portare a innovazioni vere, perché sono agenti di potenziale sviluppo locale nelle aree più difficili della nostra lunga crisi, perché vogliono aiutare se stessi e crescere come persone. Giuseppe è la testimonianza che tutto questo è possibile».