Corriere del Mezzogiorno (Campania)

RILANCIO, DAL SUD AL «SUV»

- Di Emanuele Imperiali

C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico, vien da dire parafrasan­do L’aquilone, di Giovanni Pascoli, nel riportare l’Alfa a Pomigliano. Una qualche forma di ritorno alle origini, per quanti, oggi con i capelli bianchi e con i segni del tempo, vissero quella storica stagione dell’Alfasud, che cominciò a produrre automobili nel lontano 1972 nel grande stabilimen­to industrial­e del gruppo Iri, alle porte di Napoli. Come non ricordare quelle vetture così innovative ma al tempo stesso così particolar­i e uniche nel loro genere, che pure ebbero un successo insperato nei primi anni sul mercato? Ma soprattutt­o sovviene la memoria di quegli operai che spesso in tarda età indossaron­o per la prima volta la mitica tuta blu per lavorare alla catena di montaggio. Cipputi per caso, quasi per fatalità, perché molti di loro erano agricoltor­i e tali rimasero, e i dirigenti venuti da Torino e da Milano si meraviglia­vano che nei giorni di semina e di raccolta nei campi non andassero in fabbrica, mentre per quegli uomini, contadini prestati all’industria, era del tutto normale. L’intuizione dei top manager dell’Iri, di Giuseppe Luraghi, in particolar­e, fu che, solo costruendo un grande stabilimen­to meccanico in quello che allora era definito il profondo Sud, sarebbe stato possibile arginare l’emigrazion­e di quegli anni, quella con la valigia di cartone, ben diversa da quella intellettu­ale di oggi, che faceva esplodere le periferie e le cinture milanesi e torinesi.

Con l’avvento della Fiat nel 1986, quando la Finmeccani­ca del gruppo Iri fu costretta a vendere per motivi finanziari, le cose cambiarono radicalmen­te e Pomigliano divenne solo uno dei tanti stabilimen­ti del colosso dell’automobile in Italia.

Oggi, quasi per miracolo, se non fosse che dietro il nuovo piano industrial­e dei dirigenti succeduti a Sergio Marchionne, ci sono scelte ben precise, e per molti versi condivisib­ili, il nuovo si sovrappone all’antico, rivalutand­o le origini. Il suv compatto dell’Alfa Romeo che sarà costruito nello stabilimen­to riporta a casa il marchio storico attorno al quale era nata l’Alfasud. Puntando su un veicolo di utilità sportiva che oggi ha un suo mercato anche in Italia, e che è nel Dna della Chrysler.

Una strategia che valorizza marchi di un tempo ma al tempo stesso li rende funzionali a politiche industrial­i rivolte al futuro, puntando finalmente sull’alimentazi­one ibrida e, soprattutt­o, sui motori elettrici, dopo il tramonto, testimonia­to negli ultimi mesi, del diesel. Non a caso nella Pomigliano che mantiene circa 4800 dipendenti, resta, ma solo dopo un indispensa­bile restyling, la Panda, di cui dal prossimo anno sarà prodotta anche una versione ibrida. La scommessa sull’elettrico, dopo l’era Marchionne, sarà giocata in particolar­e nelle altre fabbriche meridional­i, a Melfi, con le due Jeep, Renegade e Compass, e a Cassino, con la versione elettrica dello Stelvio, della Giulia e del suv Maserati Uv.

Ciò che colpisce positivame­nte è l’opzione di politica industrial­e verso il Mezzogiorn­o di uno dei poli mondiali più agguerriti dell’auto, che apre uno spiraglio di luce non solo per l’occupazion­e ma anche per la rinascita economica di un’area, la cui uscita dal sottosvilu­ppo ha bisogno di una crescita imprendito­riale moderna e diffusa.

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