Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Quando a Napoli vinse la sinistra giustizial­ista»

Cardillo, uomo forte della giunta Iervolino, torna alla Uil. Per presentare un libro

- Di Simona Brandolini

NAPOLI Sono dieci anni che Enrico Cardillo ha lasciato ruoli pubblici e politici. Potente sindacalis­ta, poi potentissi­mo assessore comunale al Bilancio. Nel 2008, l’annus horribilis della giunta Iervolino, quello del terribile suicidio di Giorgio Nugnes e dell’inchiesta Global service (anche Cardillo andò a processo per poi uscirne assolto), mollò tutti e tutto. Oggi pomeriggio torna nella sua Uil per presentare Napoli, cronaca di un’implosione annunciata, libro di Attilio Belli e con loro ci saranno anche Pasquale Belfiore, Bruno Discepolo, Vito Grassi, Francesco Nicodemo, il padrone di casa Giovanni Sgambati e il direttore del Corriere del Mezzogiorn­o Enzo d’Errico. Oggi Cardillo guida la Stoà, scuola di alta specializz­azione tra le prime dieci in Italia. «Ritornare a studiare è stata la cosa migliore che potessi fare», dice.

Quando Nugnes si tolse la vita era un freddo mattino di novembre e lei e la sindaca Rosetta Iervolino stavate presentand­o un suo libro nella sede della Camera di commercio. Poi scattò l’inchiesta che decapitò mezza giunta. Dopo dieci anni cosa pensa di quel periodo?

«Penso che è inconcepib­ile l’idea che una persona si sia uccisa per una vicenda che è poi finita nel nulla. Grida vendetta. E poi una cosa chiara è anche un’altra: io la chiamo la sindrome delle due sinistre».

” Il doppio C’erano due sinistre: una garantista, l’altra giustizial­ista. In quei tempi bui qui prevalse quella manettara, che ci voleva in galera

Cioé?

«Una garantista, l’altra giustizial­ista. In quei tempi bui a Napoli prevalse quella manettara, che ci voleva vedere sconfitti e in galera. E invece siamo usciti tutti assolti, mentre Giorgio Nugnes non c’è più. Un prezzo troppo alto nella storia di questa città».

Nel 2008 annunciò il suo addio.

«Dissi che non avrei più fatto politica e così è stato. Non ho mai più avuto una tessera di partito, e sono stato tra i fondatori dei Ds e del Pd nazionali. Non ho neanche mai più partecipat­o ad una riunione politica. In nessun manuale c’è scritto che dopo aver fatto l’assessore comunale o il sindaco poi devi diventare parlamenta­re».

Per molti è così. È un mestiere.

I dem Quando leggo del Pd non mi viene l’orticaria, ma grande malinconia per un partito incapace di leggere la società e il tempo presente

«Chi fa politica è da stimare, ma viene un momento in cui una fase si è esaurita. È drammatico quando la politica diventa un mestiere, si diventa ostaggio, non sei più libero e non rappresent­i più interessi generali».

Quando legge del Pd le viene

l’orticaria?

«Non mi viene l’orticaria, ma grande malinconia per un partito incapace di leggere la società, il tempo presente e quindi il futuro. La storia della sinistra in Europa oggi è drammatica perché guarda solo al passato, non ha radici nell’oggi e perde appeal».

E Napoli?

«È una città che ha perso troppe occasioni. Troppe. Prendiamo Milano. Dove prevale lo spirito di cooperazio­ne, tutti remano nella stessa direzione. Nessuno arriva e sfascia tutto quello che c’è stato prima. Io da tempo ormai mi occupo di capitale umano. E cosa ho visto? Un tempo arrivavano le industrie e non c’erano le competenze, ora è il contrario. Quello che manca al Sud è la rete, la capacità di fare sistema. Dipende dal fatto che la politica non crea condizioni favorevoli. E da una certa visione autarchica delle imprese. La metafora perfetta è Bagnoli».

Un monumento alla memoria ormai.

«Siamo ancora insabbiati. Da 25 anni abbiamo spento gli altoforni e nulla s’è fatto per porre le basi per uno sviluppo postindust­riale. Anzi sono state fatte scelte urbanistic­he sbagliate».

In che senso?

«Nel senso che non si è fatto nulla per attrarre investimen­ti. Sprecare 25 anni e milioni di risorse è un lusso che nessuno si può permettere. Il sindacato ha ceduto alla prospettiv­a postindust­riale che è stata un’amara delusione. Il che non significa che la responsabi­lità non sia collettiva. Nessuno si può tirare fuori. Neanche io».

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Manager Enrico Cardillo direttore di Stoà

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