Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ritorna nella sua casa la collezione del mercante che diventò principe
Al Palazzo Zevallos di Stigliano le opere appartenute all’antica famiglia delle Fiandre
Nella storia di Jan e Ferdinando Vandeneynden, sembra di rileggere in filigrana la vicenda di tanta altre famiglie vissute fra Rinascimento ed Età barocca, in cui mercanti divenuti ricchi per i loro affari, si trasformarono in banchieri, per poi evolvere la propria escalation sociale nei ranghi della nobiltà. Un po’ come era accaduto ai Medici di Firenze. Ma in questo caso siamo a metà ‘600 e a Napoli, dove in tempi di vicereame spagnolo, forte è l’attrattiva che la città esercita sul commercio internazionale, soprattutto del Nord Europa e in particolare quello fiammingo.
Sono queste le premesse a «Rubens, Van Dick, Ribera. La collezione di un principe», la mostra evento che ricompone nelle sale del secondo piano di Palazzo Zevallos di Stigliano larga parte di una prestigiosa collezione nata proprio in quelle sale nel 17° secolo per mano dell’importante famiglia proveniente dalle Fiandre, che nello storico edificio di via Toledo stabilì la propria residenza. E questo inedito riassemblaggio si è reso possibile grazie all’impegno del progetto Cultura di Intesa San Paolo, che da anni ha puntato molte delle sue risorse sulle attività espositive di Palazzo Zevallos.
«Quest’anno siamo stati in grado di raggiungere la considerevole quota di duecentomila visitatori», – ha ricordato i direttore della sezione artistica della banca, Michele Coppola. Tendenza confermata anche da Francesco Guido, che dopo essere stato direttore generale del Banco di Napoli, è oggi il responsabile campano di Intesa San Paolo. «In molti temono che l’assorbimento della nostra banca nella nuova struttura possa essere un declassamento per la città», racconta. «Mi sento di garantire invece l’esatto contrario, guarderemo al glorioso passato ma soprattutto per costruire un grande futuro, e manifestazioni culturali così importanti per Napoli ne sono la riprova». Da qui la scelta di investire ancora e affidare questa ambiziosa idea espositiva a un team di importanti studiosi a partire dal curatore Antonio Ernesto Denunzio, e con la presenza di consulenti come Gabriele Finaldi, Giuseppe Porzio e Renato Ruotolo.
Le opere della collezione Vandeneynden, recuperate in prestito in giro per il mondo, sono ben 36 e provengono da collezioni private e musei nazionali e stranieri come la Galleria Sabauda di Torino, la Pinacoteca di Brera di Milano, i Musei Capitolini di Roma, il Museo di Capodimonte, quello Correale di Sorrento, le National Galleries di Edimburgo, il Prado e il Thyssen-Bornemisza di Madrid, il Museum of Fine Arts di Houston, il Los Angeles County Museum of Art e il Fitzwilliam di Cambridge. Sedi della diaspora di dipinti partiti dalla collezione napoletana, formata come fiore all’occhiello di una famiglia che con la ricchezza era riuscita ad ottenere un titolo nobiliare per il giovane Ferdinando, divenuto così marchese di Castelnuovo e quindi consorte di Olimpia Piccolomini, aristocratica senese, le cui figlie sposarono nobiluomini come Carlo Carafa, principe di Belvedere, e Giuliano Colonna, principe di Galatro. Ma quali allora i principali capolavori esposti al pubblico da oggi e fino al 7 aprile? «Quelli legati a questo filo rosso fra la Napoli barocca e il contemporaneo mondo fiammingo, ovviamente», spiega la storica dell’arte Liliana Barroero. A partire dai dipinti mai ammirati in Italia come «La merenda» di Jan Miel proveniente dal Prado i due Jan Fyt di collezione spagnola (González de Castejón Silva), e le «Scene di porto» di Cornelis de Wael, l’«Erode con la testa del Battista» attribuita a Orbetto e la «Tentazione di Adamo ed Eva» di Vincenzo Gesualdo. Ma indubbiamente ad attirare maggiormente l’occhio del visitatore c’è il celebre «Banchetto di Erode» di Rubens (ora a Edimburgo), ottenuto da Ferdi- nando Vandeneynden grazie all’eredità di Gaspare Roomer. Meritano poi attenzione anche il «Cristo e la samaritana» del Guercino, l’Aniello Falcone del «Riposo nella fuga in Egitto», eccezione a tema sacro del maestro napoletano, i tre Mattia Preti, il «Sileno ebbro» di Ribera di Capodimonte, i due paesaggi di Salvator Rosa, le nature morte di Abraham Bruegel, il «Ritratto degli incisori Pieter de Jode il Vecchio e il Giovane» di Anthony Van Dyck e infine Luca Giordano, presente con la classicheggiante «Nascita di Venere» e «La piscina probatica», un vero falso d’autore, che il pittore partenopeo dipinse alla maniera di Durer per poi venderlo per 600 scudi al Priore di San Martino come opera del maestro di Norimberga. Contraffazione poi scoperta grazie alla firma nascosta di Giordano, e poi risarcita grazie al successivo acquisto di Giuliano Colonna principe di Sonnino.
In mostra Rubens, Guercino, Mattia Preti, Ribera, Van Dyck, Luca Giordano e Salvator Rosa